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Pillar of Defense chronicles: Anonymous e l’OpIsrael

La minaccia di Israele di gettare Gaza nel blackout informativo. La sfera pubblica dei social media intossicata dal “Reality Distorsion Field” di Tel Aviv. Anonymous prende posizione a fianco della Palestina e reagisce mettendo sotto attacco un’ampia porzione dello spazio digitale israeliano. L’ultima parte di “Pillar of Defense chronicles” con le interviste agli ed alle hacktivist* che hanno partecipato ad #OpIsrael.

Vedi la seconda parte di Pillar of Defense chronicles: IDF SpokesPerson

 

Pagina #OpFreePalestineReloaded – Facebook – Internet – Tempo asincrono

432327_376601849098260_1337827588_n Il principio è la separazione

la segregazione

distanze che dividono persone

prigioni a cielo aperto di un cielo senza stelle

usciamo allo scoperto scivolando sotto pelle…

Signor K in “La Machine” con Première Ligne e Les Evadés

Lo streaming di Radio Anonops, la web radio che da diversi mesi fa da colonna sonora alle imprese degli Anonymous di tutto il mondo, lancia a palla le rime del Signor K mentre l’#OpIsrael è in pieno svolgimento sullo spazio digitale israeliano. Scelta azzeccata quella del dj dietro alla console: un pezzo da battaglia, interpretato da un dreamteam di emcees internazionali, che scagliano rime come pietre, muovendosi in un’atmosfera dal sapore epico. Su un tappeto musicale intessuto con batterie, archi e piatti gli idiomi si intrecciano e disegnano la trama di cento scontri e cento ferite inferte e subite. Esattamente come accade sulla pagina Facebook #OpFreePalestineReloaded: un quadratino di byte del giardino recintato di Mark Zuckerberg, dove il tempo viene battuto dall’applet di un orologio digitale che segna i minuti mancanti all’apertura delle ostilità contro le infrastrutture comunicative israeliane. Quando, giovedì 15 novembre, le lancette del countdown si sono fermate, migliaia di Anonymous in tutto il mondo hanno dato il via alle danze con un numero incalcolabile di attacchi ed incursioni. A finire nel mirino sono alcuni network veramente tosti, come quelli che veicolano i messaggi dell’esercito e delle istituzioni di Tel Aviv. Prosegui la lettura »

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Pillar of Defense chronicles: IDF SpokesPerson

Israele lancia la sua dichiarazione di guerra a frequenze unificate e occupa militarmente il terreno fisico e quello digitale. L’armamentario di tecnologie, discorsi e dispositivi retorici impiegati in rete (e non solo) dall’Israel Defence Force durante l’operazione Pillar Of Defense contro Gaza. La terza ed ultima parte di questo articolo verrà pubblicata lunedì 31 dicembre.

Vedi la prima parte di Pillar of Defense chronicles: Gaza Youth Breaks Out

Pagina IDF Spokesperson – Facebook – Internet – Tempo asincrono


share3Scambi di artiglieria sul campo e di tweet in rete. Così si è aperto il sipario su Pillar of Defense. Prima il filmato dell’esecuzione di Ahmed Jabari, capo dell’ala militare di Hamas, riversato in tempo reale su Youtube e servito all’ora di cena con i titoli d’apertura dei tg serali. Poi una raffica di minacciosi tweet scambiati tra l’account dell’Israel Defence Force e quello delle brigate Alqassam. Quanto basta per catalogare alla sezione “panzane” l’opera completa del buon Pierre Lévy e dei suoi entusiasti emuli: una massa di intellettuali narcisisti che per anni hanno gettato fiumi d’inchiostro magnificando le capacità della tecnologia di livellare distanze ed incomprensioni tra i popoli. Oggi che la pace perpetua digitale non è più di moda ed anche i falchi cinguettano, quotidiani e testate giornalistiche preferiscono annunciare l’avvento della cyberwar ad ogni piè sospinto. Se però si scava sotto il ciarpame sensazionalista accumulato nei server degli organi d’informazione globali c’è da fare della buona archeologia e non è difficile afferrare il capo del filo rosso che accomuna frame, dispositivi retorici e tattiche comunicative dispiegate da Israele negli ultimi otto giorni. Prosegui la lettura »

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Pillar of Defense chronicles: Gaza Youth Breaks Out!

A meno di un mese dalla fine dell’ultima aggressione israeliana a Gaza proponiamo “Pillar of Defense chronicles”. Tre pagine Facebook: quella dei Gaza Youth Breaks Out, quella dell’esercito israeliano e quella di Anonymous #OpIsrael. Tre fuochi narrativi incrociati per raccontare la guerra d’informazione ai tempi di internet. La seconda parte verrà pubblicata lunedi 24 dicembre.

15983_433866030012164_1669407920_nUn luogo comune è uno spazio linguistico e culturale dove convergono banali ovvietà che il gruppo sociale scambia per compattarsi ed aumentare il livello di empatia reciproco: come davanti ad un fuoco, riunirsi attorno ad una parola o ad una frase condivisa scalda l’animo e rende più vicini. Il panorama di una guerra è punteggiato di posti di questo genere: tanti piccoli falò – se ne vedono a perdita d’occhio – brulicanti di individui che li alimentano con certezze leggere come cenere. Uno dei più frequentati è quello dove si racconta che sotto le bombe la prima a lasciarci le penne sia sempre la verità. Tuttavia a guardare lo svolgimento dell’operazione Pillar of Defense, verrebbe da replicare che se col termine si intende sbrigativamente ricorrere ad un sinonimo di realtà, allora nel bollettino di morti e feriti (o “casualties” per dirla con l’asettico e rassicurante corrispettivo anglofono) non troveremo nessuna vittima chiamata Verità. La verità è semmai un fronte dello campo di battaglia. Uno dei più importanti. Prosegui la lettura »

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«Se credi di avere tutto sotto controllo, allora non stai andando abbastanza veloce!»

Durante il meeting Agorà 99 abbiamo intervistato Simona Levi, hacktivista del movimento #15M.

 

altMadrid – Non è un segreto che il movimento #15M sia uno laboratorio avanzatissimo nella sperimentazione di tattiche e strategie comunicative all’interno delle mobilitazioni sociali contro la crisi. Durante la nostra permanenza a Madrid per il meeting Agorà 99, è stato impossibile non rendersi conto di quanto gli hacktivisti abbiano profondamente influenzato, dal punto di vista culturale e politico, ampi settori, non solo del movimento, ma dell’intera società spagnola. Nei cinque giorni passati tra assemblee, workshop e presidi, attraversati da soggetti con le più disparate biografie ed età anagrafiche non ci è mai capitato di imbatterci in quella litania, tipica delle nostre parti, che recita «Internet? Io non ci capisco niente. Parla con il compagno mediattivista». Al contrario il problema della comunicazione – su tutti i livelli, dalla strada alla rete – non viene delegato a poche nicchie di “esperti” ma assunto come elemento dirimente e trasversale nel dibattito quotidiano, sia che si tratti di organizzare una piccola iniziativa in quartiere sia che l’obiettivo della giornata sia l’assedio al Parlamento.

Questo non significa che nel tempo non siano sorti anche piccoli think thank, crew di personaggi a metà tra l’hacker e lo spin doctor, che hanno aiutato il movimento a misurarsi con il mainstream sul terreno dell’opinione pubblica, sviluppando un nuovo paradigma dell’informazione in lotta: la tecnopolitica che teorizza la riappropriazione delle reti per l’azione collettiva. Attenzione, il loro ruolo non è esclusivamente quello di orchestrare i network di comunicazione: al contrario la loro mission sembra piuttosto organizzare lo sciame perché lo sciame possa auto-organizzarsi ed impari a riappropriarsi dell’uso politico dei media. Prosegui la lettura »

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Il declino dello smart /soft power della Casa Bianca: quando a crollare è l’ideologia liberale della rete.

Relazione meeting “Contropotere nella crisi” Bologna 13 – 14 Ottobre

Abbiamo costruito questa relazione con l’intento di socializzare in un ambito il più possibile allargato una serie di indicazioni di orientamento politico-culturale arrivateci dagli ultimi due anni di mobilitazioni globali.

La rivoluzione tunisina, quella egiziana, il movimento #15M ed anche quello NoTav hanno messo al centro di un mondo in crisi l’attualità della rivoluzione, delle sue pratiche ma anche delle sue parole. In questo senso hanno anche ribadito la centralità di saper agire la dimensione comunicativa nei conflitti odierni, individuando in essa, ed in particolar modo nella rete (ma non solo), un campo di battaglia dove colpire per disarticolare quelle tecnologie politiche, quelle narrazioni e quei dispositivi retorici che legittimano le politiche di austerità e che, per utilizzare una metafora, sono le piattaforme, le rampe di lancio da cui partono le operazioni di aggressione neoliberista ai territori.

Social media, ambienti di comunicazione elettronica e piattaforme globali di comunicazione hanno messo a nudo tutta la loro ambivalenza, provocando così una torsione dell’immaginario: non solo formidabili dispositivi di cattura della cooperazione sociale e del valore prodotto in rete – grazie ai quali il tempo di lavoro si dilata fino a sovrapporsi perfettamente con il tempo della vita – ma anche luoghi dove sono andati dispiegandosi una pluralità di processi di soggettivazione ed organizzazione dei movimenti globali. Nessun medium ovviamente è sufficiente tout court alla complessità di un processo di organizzazione rivoluzionaria ma allo stesso tempo non esiste organizzazione senza identità, e non esiste identità senza processi di comunicazione, rappresentazioni condivise ed un accumulo di memoria storica delle lotte. Prosegui la lettura »

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Youtube e la perdita dell’innocenza

La pubblicazione del trailer del film The innocence of Muslim sta lasciando solchi profondi nella strategia delle transizioni democratiche made in usa. L’assalto alla sede diplomatica statunitense in Libia è arrivata fino in rete. E l’incendio più che ad infiammare i paesi arabi, sembra divampare nella Casa Bianca ad un passo dalle elezioni.

Dopo i fatti che l’11 settembre hanno visto in Libia la morte di otto persone, compresa quella dell’ambasciatore statunitense Chris Stevens, la Casa Bianca si è immediatamente attivata per limitare i danni anche in rete. E venerdì, mentre due navi da guerra incrociavano nel Mediterraneo dirette verso le coste libiche, a Washington la corazzata del Dipartimento di Stato cominciava le grandi manovre e dirigeva la prua a dritta su Google. Obiettivo della missione: far rimuovere da Youtube quel video che tanti imbarazzi stava causando all’amministrazione statunitense. Ma a Mountain View non ci stanno. No, quel filmato, dicono, non viola le nostre policy. E resta dov’è. O quasi, perché lo spazio dei flussi di informazione ha una geometria variabile. Prosegui la lettura »

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