Archivio per la categoria Censura

La vendetta di Obama: Bradley Manning condannato a 35 anni

È questo il prezzo che Bradley Manning dovrà pagare per aver diffuso il video “Collateral Murder” e 750000 documenti riservati dell’esercito statunitense. Ma la vittoria della Casa Bianca nella guerra ai leaks sembra più lontana che mai. E l’immagine di Obama va in pezzi.

information-wants-to-be-free1Sono le 10.18 a Fort Meade, Maryland, quando il martello del giudice Denise Lind si abbatte sul destino di Bradley Manning. Trentacinque anni. Tanti ne dovrà trascorrere, sepolto tra le mura di una prigione, il confidente di Wikileaks, colpevole di aver consegnato all’organizzazione di Julian Assange 250000 cablo diplomatici ed oltre mezzo milione di dossier militari segreti che contenevano le prove delle atrocità perpetrate dagli Stati Uniti in Iraq ed Afghanistan. Un verdetto accolto in lacrime da David Coombs, avvocato di Manning, che durante una conferenza stampa in serata dichiarerà come questa pena sia la più pesante mai comminata ad un suo cliente: in passato a nessun altro dei suoi assistiti, neanche a soldati macchiatisi dell’omicidio di civili inermi, era mai stato inflitto un trattamento altrettanto duro. Si tratta in realtà della pena più alta mai imposta negli Stati Uniti ad un informatore degli organi di stampa.

Dal cuore dell’impero – Fort Meade è infatti il quartier generale dell’NSA – la sentenza fa il giro della rete in un lampo. E provoca reazioni durissime. Pochi minuti prima della sua lettura si scatena in rete un tweetstorm veicolato dall’hastag #BecauseofBradleyManning che raccoglie iniziative di solidarietà nei confronti del soldato statunitense: si propagherà fino a tarda notte entrando nei trending topics globali. Amnesty International si appella ad Obama perché la pena di Manning sia commutata e venga fatta luce sui crimini da lui rivelati. Il Center for Constitutional Rights, storica organizzazione sorta negli anni ’60 per la difesa dei diritti civili, si dichiara «indignata» per il ricorso all’Espionage Act – una legge del 1917 considerata «arcaica e screditata» – pur di raggiungere una condanna. L’ACLU (American Civil Liberty Union) denuncia la sproporzione della sentenza rispetto a quelle emesse contro chi si rende protagonista di crimini di guerra. Ad usare i toni più duri però è Gleen Greenwald, giornalista del Guardian, che dal suo account twitter scrive «Obama admin: we aggressively prosecute those who expose war crimes, and diligently protect those who commit them». Parole queste che rispecchiano un sentiment trasversalmente diffuso in rete e che accomuna in modo unanime giornalisti, Anonymous, organizzazioni per i diritti civili, attivisti e semplici cittadini. Prosegui la lettura »

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Il declino dello smart /soft power della Casa Bianca: quando a crollare è l’ideologia liberale della rete.

Relazione meeting “Contropotere nella crisi” Bologna 13 – 14 Ottobre

Abbiamo costruito questa relazione con l’intento di socializzare in un ambito il più possibile allargato una serie di indicazioni di orientamento politico-culturale arrivateci dagli ultimi due anni di mobilitazioni globali.

La rivoluzione tunisina, quella egiziana, il movimento #15M ed anche quello NoTav hanno messo al centro di un mondo in crisi l’attualità della rivoluzione, delle sue pratiche ma anche delle sue parole. In questo senso hanno anche ribadito la centralità di saper agire la dimensione comunicativa nei conflitti odierni, individuando in essa, ed in particolar modo nella rete (ma non solo), un campo di battaglia dove colpire per disarticolare quelle tecnologie politiche, quelle narrazioni e quei dispositivi retorici che legittimano le politiche di austerità e che, per utilizzare una metafora, sono le piattaforme, le rampe di lancio da cui partono le operazioni di aggressione neoliberista ai territori.

Social media, ambienti di comunicazione elettronica e piattaforme globali di comunicazione hanno messo a nudo tutta la loro ambivalenza, provocando così una torsione dell’immaginario: non solo formidabili dispositivi di cattura della cooperazione sociale e del valore prodotto in rete – grazie ai quali il tempo di lavoro si dilata fino a sovrapporsi perfettamente con il tempo della vita – ma anche luoghi dove sono andati dispiegandosi una pluralità di processi di soggettivazione ed organizzazione dei movimenti globali. Nessun medium ovviamente è sufficiente tout court alla complessità di un processo di organizzazione rivoluzionaria ma allo stesso tempo non esiste organizzazione senza identità, e non esiste identità senza processi di comunicazione, rappresentazioni condivise ed un accumulo di memoria storica delle lotte. Prosegui la lettura »

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“Salviamo Wikipedia!” Sortita dal basso nella guerra mediale italiana

Wikipedia Italia scende in campo contro la cosiddetta legge ammazza blog. E per protestare entra in sciopero. Da 24 ore infatti le 800000 voci dell’enciclopedia libera risultano essere inaccessibili al pubblico. Una scelta che gli amministratori del sito hanno spiegato alla loro utenza con un breve ma significativo comunicato.

Sotto accusa è il comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni, in questi giorni sotto il fuoco incrociato di roventi polemiche all’interno della stessa maggioranza di governo.

«Tale proposta di riforma legislativa» afferma il comunicato di Wikimedia Italia «prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine»

Qualora questo nuovo dispositivo giuridico venisse introdotto «chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiedere l’introduzione di una “rettifica”, volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.»

Un fatto che Wikipedia non esita a definire come «una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza». Prosegui la lettura »

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Crackdown su Anonymous Italia

Scatta all’alba di questa mattina la prima operazione di polizia contro Anonymous Italia. Oltre al sequestro di materiale informatico, sono 32 le perquisizioni effettuate in tutta la penisola e 3 le persone denunciate dalla Polizia Postale. A fare da corollario un’operazione mediatica in grande stile. Sui siti dei quotidiani on-line è il trionfo del sensazionalismo: i titoli che troneggiano in prima pagina riportano di reti smantellate, cellule smascherate, capi inchiodati alla sbarra.

Le fonti investigative citate, pur non facendo alcun riferimento ai reati specifici a carico degli accusati, giustificano l’intervento repressivo con la necessità mettere la parola fine agli “ingenti danni” causati dal gruppo negli ultimi mesi. Danni dei quali non viene fornito alcun dettaglio. Al CNAIPIC, il centro Nazionale Anticrimine Informatico, però mettono le mani avanti: «Nessuna volontà di perseguire reati di opinione o di mettere il “bavaglio alla rete”».

Sarà, ma i fatti ed il contesto in cui è maturato l’operato delle forze dell’ordine fanno pensare esattamente al contrario. Ovvero ad un deliberato attacco alla libertà di informazione ed espressione in rete. Prosegui la lettura »

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“Server is too busy”! AGCOM travolta dalla protesta in rete

Sempre più serrato lo scontro in rete attorno all’approvazione prevista per il prossimo 6 luglio della delibera 668/2010 dell’AGCOM; una risoluzione che prevede, né più né meno, la messa dei contenuti del web italiano al vaglio del controllo dell’Agenzia – un organismo di nomina politica – e la facoltà di questa di oscurarli attraverso una semplice e rapida procedura amministrativa, senza nemmeno la foglia di fico del controllo e del dibattimento giudiziario. Citiamo infatti testualmente da Agoradigitale, uno dei primi siti a mobilitarsi contro il provvedimento:

“Se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all’Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l’avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l’Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l’allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia”.

Un ennesimo attacco ai diritti dei netizens, il cui rapido tentativo di implementazione nasconde la paura delle vecchie lobby dell’audiovisivo e della cricca politico-mediale al potere di vedere logorarsi la propria presa sulla produzione culturale e del consenso; in un momento storico in cui è forte il ruolo della rete come ambiente e catalizzatore di lotta politica, così come le domande di accesso ai contenuti digitali e di libera circolazione dell’informazione. E il fatto che si sia giocata la carta istituzionale di Corrado Calabrò (autentico dinosauro dell’amministrazione pubblica, dal 2005 sulla poltronissima dell’AGCOM) davanti alla debolezza dell’esecutivo ed alla difficoltà di far passare la manovra con i consueti strumenti del decreto legge (Pisanu e Gentiloni docet) è significativo in questo senso. Prosegui la lettura »

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Censura contro le voci della lotta No Tav

Ieri mattina durante la seduta alla Camera, il deputato del PDL Agostino Ghiglia ha richiesto che Infoaut, Radio Black Out ed altri siti che in queste settimane stanno dando voce alla lotta della ValSusa vengano oscurati. Viene da pensare che il ministero dell’Interno abbia prontamente accolto le lagnanze dell’esponente del popolo delle libertà, se già ieri sera il profilo Facebook di Infoaut era stato temporaneamente sospeso. Motivo? “L’utente è registrato sotto falso nome”.

Questa improvvisa attenzione di Facebook per il rispetto delle policy in coincidenza con la mobilitazione NoTav puzza di gioco sporco. La verità è che i movimenti, quando mettono le mani sulla rete e ne fanno uno strumento di conflitto, fanno paura. Ed esattamente come in Tunisia, in Egitto o in Siria i governi li temono e giocano la carta della repressione e della censura sul web. Magari con l’accondiscendenza e la collaborazione di multinazionali come Facebook, sempre pronte a sbandierare il vessillo della libertà d’espressione per motivi di marketing e d’immagine, sempre prone alle richieste liberticide dei governi pur di conservare il loro pezzettino di mercato.

Tutto questo proprio a pochi giorni dall’entrata in vigore della normativa AGCOM, che darà il potere all’autorità garante della comunicazioni di rimuovere dal web qualsiasi sito italiano in cui siano presenti contenuti coperti da diritto d’autore o di inibirne l’accesso per i siti esteri. Verranno così annullate le già minime garanzie giurisdizionali che tutelano la libertà d’informazione in rete in Italia permettendo al potere di far piazza pulita delle voci scomode dell’infosfera italiana

Dunque dopo i lacrimogeni che hanno asfissiato la Val Susa ieri, adesso anche nel web italiano l’aria comincia a farsi irrespirabile. Ma le rivolte nord africane, la straordinaria insorgenza comunicativa che ha fatto da cornice alla battaglia della Maddalena e la mobilitazione diffusa in rete contro la normativa AGCOM ci insegna che più la censura stringe il pugno e più gli scivola la sabbia tra le dita.

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