Archivio per la categoria Battleground

Goodbye

IFF chiude i battenti.

Blog, TW e FB non verranno più aggiornati.

Ci vediamo in strada ed in rete.

A presto.
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Il sito del New York Times nelle mani del Syrian Electronic Army

Gli hacker filo siriani hanno colpito il sito del quotidiano statunitense, quello di immagini twimg.com ed il dominio britannico di Twitter. Minacciate ritorsioni anche contro l’Huffington Post.

Syrian-Electronic-Army-The-ShadowNella notte prime avvisaglie di guerra sul fronte siriano. Teatro delle ostilità, la rete. A calcare la scena il Syrian Electronic Army che poco dopo le 23 ha annunciato di aver preso possesso del dominio twitter.co.uk e di averlo messo off-line (anche se secondo alcuni commenti non verificati si tratterebbe di una bufala). Quel che invece è certo è che pochi minuti dopo un altro clamoroso colpo è stato effettivamente messo a segno dal gruppo hacker. A finire nel mirino uno dei siti più letti al mondo: quello del New York Times. Il sito del quotidiano statunitense è stato messo fuori uso e l’incursione rivendicata con un messaggio («Hacked by SEA») lasciato in bella mostra nella sua homepage prima che questa diventasse irraggiungibile. Non è chiaro quale tecnica sia stata utilizzata per prendere il controllo dei server del giornale ma quanti provavano ad accedervi venivano automaticamente rediretti ad un indirizzo IP di provenienza russa. L’attacco è stato confermato dallo stesso New York Times: inizialmente con un tweet che riferiva di generiche «difficoltà tecniche» ed in un secondo momento da un articolo di Christian Haughney. I dipendenti del Times sarebbero stati inoltre costretti ad interrompere l’invio di email per evitare che informazioni sensibili potessero finire nelle mani degli hacker pro Assad. In tutto il periodo del blackout il NYT ha però continuato a pubblicare notizie su una versione minimale del sito. Mentre la notizia balzava in cima alla lista dei trending topics globali è arrivato l’ultimo colpo di scena: intorno all’una, il SEA ha dichiarato di aver preso il controllo del sito di immagini twimg.com (anch’esso di proprietà di Twitter) ed ha minacciato ritorsioni contro l’Huffington Post. Prosegui la lettura »

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La vendetta di Obama: Bradley Manning condannato a 35 anni

È questo il prezzo che Bradley Manning dovrà pagare per aver diffuso il video “Collateral Murder” e 750000 documenti riservati dell’esercito statunitense. Ma la vittoria della Casa Bianca nella guerra ai leaks sembra più lontana che mai. E l’immagine di Obama va in pezzi.

information-wants-to-be-free1Sono le 10.18 a Fort Meade, Maryland, quando il martello del giudice Denise Lind si abbatte sul destino di Bradley Manning. Trentacinque anni. Tanti ne dovrà trascorrere, sepolto tra le mura di una prigione, il confidente di Wikileaks, colpevole di aver consegnato all’organizzazione di Julian Assange 250000 cablo diplomatici ed oltre mezzo milione di dossier militari segreti che contenevano le prove delle atrocità perpetrate dagli Stati Uniti in Iraq ed Afghanistan. Un verdetto accolto in lacrime da David Coombs, avvocato di Manning, che durante una conferenza stampa in serata dichiarerà come questa pena sia la più pesante mai comminata ad un suo cliente: in passato a nessun altro dei suoi assistiti, neanche a soldati macchiatisi dell’omicidio di civili inermi, era mai stato inflitto un trattamento altrettanto duro. Si tratta in realtà della pena più alta mai imposta negli Stati Uniti ad un informatore degli organi di stampa.

Dal cuore dell’impero – Fort Meade è infatti il quartier generale dell’NSA – la sentenza fa il giro della rete in un lampo. E provoca reazioni durissime. Pochi minuti prima della sua lettura si scatena in rete un tweetstorm veicolato dall’hastag #BecauseofBradleyManning che raccoglie iniziative di solidarietà nei confronti del soldato statunitense: si propagherà fino a tarda notte entrando nei trending topics globali. Amnesty International si appella ad Obama perché la pena di Manning sia commutata e venga fatta luce sui crimini da lui rivelati. Il Center for Constitutional Rights, storica organizzazione sorta negli anni ’60 per la difesa dei diritti civili, si dichiara «indignata» per il ricorso all’Espionage Act – una legge del 1917 considerata «arcaica e screditata» – pur di raggiungere una condanna. L’ACLU (American Civil Liberty Union) denuncia la sproporzione della sentenza rispetto a quelle emesse contro chi si rende protagonista di crimini di guerra. Ad usare i toni più duri però è Gleen Greenwald, giornalista del Guardian, che dal suo account twitter scrive «Obama admin: we aggressively prosecute those who expose war crimes, and diligently protect those who commit them». Parole queste che rispecchiano un sentiment trasversalmente diffuso in rete e che accomuna in modo unanime giornalisti, Anonymous, organizzazioni per i diritti civili, attivisti e semplici cittadini. Prosegui la lettura »

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Tangodown: lucrare (o legiferare) sull’emergenza?

L’araba fenice di Anonymous risorge dalle ceneri: dichiarata morta il venerdì, torna sul campo di battaglia il lunedì. E manda al tappeto il sito del tribunale di Roma. Intanto cominciano ad emergere dubbi sulla versione ufficiale fornita dalla Polizia Postale sull’operazione “Tangodown”. All’orizzonte un giro di vite contro la libertà sul web?

anon-arrestSulla conclamata decapitazione del vertice italiano di Anonymous – un leitmotiv ripetuto fino alla nausea da tutte le polizie del mondo ogni volta che un’operazione repressiva viene messa in atto contro il network di hacktivisti – non vale neppure la pena di pronunciarsi. A parlare sono i fatti. Ed i fatti dicono che il sito del tribunale di Roma ieri pomeriggio è stato messo K.O. da un attacco Ddos. Inequivocabile la firma sul biglietto del pacco sorpresa: “Anonymous Italia. Siamo ancora vivi bastardi”.

Intanto poco alla volta emergono i primi particolari sull’operazione condotta nella mattinata di venerdì dalla Polizia Postale e dalla Procura di Roma che ha portato all’arresto di 4 persone ed alla denuncia di altre 10. E cominciano a fare capolino anche numerosi dubbi sulla versione ufficiale fornita dalle forze dell’ordine a stampa e televisioni.

Il teorema avanzato dalla procura di Roma si basa su un semplice assunto. Gli indagati, accusati tutti di “associazione a delinquere di stampo virtuale” avrebbero utilizzato il logo di Anonymous per attaccare istituzioni ed aziende private con l’intento di offrirsi in un secondo momento alle stesse come consulenti per poterne trarre profitto. Di quali somme si stiamo parlando? Qui cominciano le prime imprecisioni. Molto grosse a dire la verità. Tra le cifre riportate dal Corriere («consulenze per 50-60 mila euro») e quelle riportate dal Nuovo Quotidiano di Puglia («300 euro») c’è un’oscillazione a dir poco vertiginosa. Prosegui la lettura »

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#OpIsrael reloaded: «TelAviv is not invulnerable». Chatting with digital intifada

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Shortly after a conflict a war of numbers always bursts. OpIsrael’s second part doesn’t seem an exception to this rule. How many websites were overran by the wave of cyber – attacks that Anonymous unleashed against Israeli IT infrastructures since 7 April? Has it really been a failure as Tel Aviv’s government stated? What is the amount of the economic damage? While the operation is still running, Infoaut tries to read between the lines by interviewing some of the active protagonists on the battleground. Sync, black and anon4 are three hackers that have taken part in the assault against Israeli internet in the past days. This is what they told us.

IFF – Anonymous, even though reluctantly and with some inner tensions, officially decided to conform to the truce that Israeli and Palestinian authorities signed on 21st November 2012. The attacks that began on Saturday and those of the last few weeks (as the leak against Mossad) let us think of an action pondered for a long time. How did the debate about OpIsrael develop within your group in the last months? Which political goals did you set for yourselves? The context is different in comparison with November: at that time OpIsrael has been a reaction to the Zionist military operation against Gaza. Nowadays, on the contrary, you have made the first move announcing the operation one month ago, at the same time of the Holocaust Memorial Day. Why have you decided to start OpIsrael’s second phase?

Black – Because Israel keeps its hold on Gaza without giving up.

Anon4 – The debate has always been swinging between those who wanted to respect the truce, and those who wanted to take action with a view to 7th April. Surely, many people have continued to act as individuals or joining other teams. 7th April was decided because it is the Holocaust Memorial Day. We wanted to reframe the meaning of this symbolic anniversary in order to readjust it to the current situation that Palestinian people is forced to live in by Israeli savagery. Holocaust was not just the one that involved Jews: Holocaust is also the genocide committed by Zionist hands.. Today this word is more actual than ever. We decided to give a new impulse to the operation because of the continuous abuses and vexations towards the Palestinian people (even during the truce). There are a lot of examples regarding those. First of all, the terrible situation of Palestinian prisoners in Israeli jails: an out – and – out, total violation of human rights. Not to mention the case of Samer Issawi, on hunger strike as a form of protest, whose life is seriously in danger. Prosegui la lettura »

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Redhack contro il Mossad. 35000 nominativi pubblicati on-line.

Apparterrebbero ad altrettanti elementi legati al servizio segreto israeliano. Autori del colpaccio la nota crew turca di Redhack e quella di Sector404. All’orizzonte la seconda fase di OpIsrael.

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Nella notte tra sabato e domenica le crew di Sector404 e quella di RedHack – noto gruppo turco di hacktivisti legato al network di Anonymous – hanno pubblicato in rete un corposo file con 35000 identificativi: nomi, cognomi, numeri di telefono, indirizzi di casa e di posta elettronica. Si tratterebbe, stando alle parole degli autori dell’azione, di dati riconducibili ad elementi appartenenti al Mossad. Contemporaneamente il sito ufficiale del servizio segreto israeliano è stato messo off-line da un attacco DDOS. Gli hacktivisti coinvolti nell’accaduto hanno dichiarato in seguito come le due azioni, pur inserendosi nel medesimo contesto, non siano legate da un nesso di consequenzialità. Detta in altro modo i dati in questione potrebbero essere stati sottratti in precedenza da altri server militari israeliani. È difficile pensare infatti che questi si trovassero sul medesimo portale utilizzato dal Mossad per le relazioni pubbliche.  Prosegui la lettura »

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