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Keep calm and enjoy 19o (parte 1)

Oggi presentiamo il primo di quattro articoli con i quali Infoaut proporrà una serie di considerazioni sulla tenuta mediatica del #19o.

Nei primi tre decostruiremo alcuni dei meccanismi mediante i quali il mainstream ha provato ad alimentare un clima di tensione intorno alla giornata di mobilitazione romana. Filo rosso che attraversa queste tre analisi è la presenza di elementi tecnici e quantitativi (accanto a quelli morali) in grado di farsi propulsori di panico distribuito con cui governare i fenomeni sociali. Questo primo testo decostruisce il dispositivo ribattezzato “manifestometro” ovvero, l’attribuzione di un grado di pericolosità ad un corteo, operata attraverso il ricorso ad una scala numerica. Il secondo affronterà la minaccia di blackout delle rete cellulari ventilata da giornali e televisioni nella giornata del 18 ottobre. Il terzo tenterà di chiarire modalità e circostanze in cui i social network possono trasformarsi in vettori di disinformazione.

Le decine di migliaia di persone scese in piazza a Roma segnano però la sconfitta della strategia terroristica adottata dal circuito informativo generalista contro il #19o. Una disfatta le cui motivazioni (che proveremo ad analizzare nella quarta parte del testo) sono dettate innanzi tutto dall’emersione di una composizione sociale che non è più in alcun modo interessata a contrattare la sua rappresentazione con il mainstream. Al contrario questo è sempre meno media di riferimento per ampi strati di popolazione, impermeabili al suo discorso e ostili nei suoi confronti. Non di secondo piano inoltre è stato l’inedito feeling tra strada e rete che comincia a permeare anche l’attivismo nostrano e la stessa capacità del movimento di pianificare in modo strategico una campagna di comunicazione distribuita su tutto il territorio nazionale, ricorrendo a contenitori simbolici a maglie larghe che hanno permesso alle più differenti realtà di apportare il loro contributo e di entrare in relazione tra di loro.

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«Se credi di avere tutto sotto controllo, allora non stai andando abbastanza veloce!»

Durante il meeting Agorà 99 abbiamo intervistato Simona Levi, hacktivista del movimento #15M.

 

altMadrid – Non è un segreto che il movimento #15M sia uno laboratorio avanzatissimo nella sperimentazione di tattiche e strategie comunicative all’interno delle mobilitazioni sociali contro la crisi. Durante la nostra permanenza a Madrid per il meeting Agorà 99, è stato impossibile non rendersi conto di quanto gli hacktivisti abbiano profondamente influenzato, dal punto di vista culturale e politico, ampi settori, non solo del movimento, ma dell’intera società spagnola. Nei cinque giorni passati tra assemblee, workshop e presidi, attraversati da soggetti con le più disparate biografie ed età anagrafiche non ci è mai capitato di imbatterci in quella litania, tipica delle nostre parti, che recita «Internet? Io non ci capisco niente. Parla con il compagno mediattivista». Al contrario il problema della comunicazione – su tutti i livelli, dalla strada alla rete – non viene delegato a poche nicchie di “esperti” ma assunto come elemento dirimente e trasversale nel dibattito quotidiano, sia che si tratti di organizzare una piccola iniziativa in quartiere sia che l’obiettivo della giornata sia l’assedio al Parlamento.

Questo non significa che nel tempo non siano sorti anche piccoli think thank, crew di personaggi a metà tra l’hacker e lo spin doctor, che hanno aiutato il movimento a misurarsi con il mainstream sul terreno dell’opinione pubblica, sviluppando un nuovo paradigma dell’informazione in lotta: la tecnopolitica che teorizza la riappropriazione delle reti per l’azione collettiva. Attenzione, il loro ruolo non è esclusivamente quello di orchestrare i network di comunicazione: al contrario la loro mission sembra piuttosto organizzare lo sciame perché lo sciame possa auto-organizzarsi ed impari a riappropriarsi dell’uso politico dei media. Prosegui la lettura »

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