Archivio per la categoria Web2.0?

Lavoro in rete e senza rete – Dialogo con Carlo Formenti – Prima parte

Come già abbiamo avuto modo di scrivere su queste pagine, se in Italia
(e non solo) esistono ancora voci capaci di trattare il fenomeno della
rete in maniera disincantata e non celebrativa ma al contempo
propositiva e non appesantita dai ceppi della tecnofobia più
reazionaria, una di esse è senz’altro quella di Carlo Formenti,
docente di teoria e tecnica dei nuovi media all’Università di Lecce,
collaboratore del Corriere della Sera, autore di testi importantissimi
per una lettura critica dei mutamenti economici, sociologici e politici
avvenuti a partire dall’emersione di internet come terreno di
produzione immateriale e conflitto, quali "Mercanti di Futuro"," Cybersoviet"e "Se Questa è Democrazia".

Abbiamo
avuto la possibilità di averlo con noi al seminario "Cyberpopulismi,
crisi dell’internet libertaria ed architetture di rete securitarie",
tenutosi lo scorso 20 maggio nell’ambito del ciclo di seminari Not [Net] Working – La Rete non è un Media
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, e
iniziamo con questo post la pubblicazione integrale del suo intervento.
Prosegui la lettura »

1 Commento

Valore liquido – Due parole a proposito di liquida.it

Giovedì in mattinata è apparsa in rete, su diversi notiziari e feed RSS la notizia dell’acquisizione da parte di Liquida di BlogBabel.
Il servizio che analizza, confronta e classifica i contenuti dei blog
in lingua italiana in un primo momento era stato messo in vendita su
e-bay con un’ asta poi interrotta. Pur non essendo noti i termini
finanziari dell’acquisto, si sa che le tecnologie di BlogBabel verranno
utilizzate ed integrate nella versione internazionale di Liquida.

innovazione?Tale operazione è stata immediatamente corredata dal rituale e pomposo comunicato stampa che prontamente celebrava una nuova sinergia tra le tecnologie dei due prodotti per offrire agli utenti della Rete servizi ancora migliori. Al coro degli entusiasti si è aggiunto Zambardino, non solo identificando in Paolo Anio (l’imprenditore fondatore di Banzai SPA, 
una delle più importanti società italiane di
advertising on–line, facente parte del gruppo editoriale RGB Srl.)
una nuova Penelope in grado di tessere a lungo le innovative fila della
ragnatela tecnologica italiana, ma intravedendo all’orizzonte il
profilarsi di un "movimento" ( e qui "sic" ci nasce dal profondo un
sospiro, pensando ai bei tempi in cui il termine movimento era sinonimo
di gioia, conflittualità e desiderio di trasformazione radicale del
presente, mentre oggi  il termine sta ad indicare l’acquisizione di
un’impresa ).

Liquida.it è una divisione della
Banzai SPA ed al suo attivo vanta diverse chicche come
i siti zingarate.com, girlpower.it e tutta una
serie di altre amenità.

Ma cosa fa precisamente Liquida.it? Qual’è il suo ruolo in rete? Prosegui la lettura »

1 Commento

Not [net] working – Netwar – Watchfare

Quello che segue è parte di un più ampio lavoro a cui la crew di IFF sta lavorando.
Non è da considerarsi in nessun modo un documento esaustivo,
formalizzato o concluso. L’idea è di porne, di volta in volta, in
condivisone dei paragrafi su NoBlogs in modo tale che possano risultare
utili e propedeutici per coloro che vogliano partecipare alle giornate
di not[net]working che sono in corso. Condividere in questo habitat tale "nostra
produzione" è dettato non in ultimo dalla speranza che essa possa
essere oggetto di una fruttuosa critica, e perché no, di una revisione
collettiva capace di farla progredire ed evolvere da quelli che sono i
suoi punti deboli sul piano teorico.
Avremmo voluto aspettare ancora qualche tempo per pubblicarlo ma l’odierna notizia apparsa su punto informatico, relativa alla  legge 23 aprile 2009, n. 38, denominata "Piano straordinario di controllo del territorio", ci pone la necessità e l’urgenza di condividere e mettere a dibattito la nostra analisi sulla formazione dello "stato sociale del controllo" come ristrutturazione capitalista davanti alla crisi finanziaria attuale.

Buona lettura.


Nell’ultima decade abbiamo assistito al declino di una tipologia di laissez-faire post-moderna – incentrata sull’appropriazione e messa al lavoro indiscriminata delle informazioni, ed al parallelo rafforzarsi di una tipologia di keynesismo anch’essa post-moderna, quella della spesa pubblica in sorveglianza, che chiameremo del "watchfare".

Il watchfare comprende tutti gli investimenti effettuati sia in dispositivi e strutture fino ad allora destinati ai fini del semplice controllo sociale come telecamere, biometria, intercettazioni, vigilanza pubblica e privata, polizia ed esercito, intelligence, cpt, manicomi, carceri, comunità di recupero (ma anche, e in maniera cruciale, istituti statistici, ispettorati del lavoro, polizia fiscale, controlli sanitari, istituti di certificazione) che in altri di più recente comparsa riservati all’interazione sociale, come social network, chip RFID caricati ad esempio di informazioni genetiche e mediche, documenti digitali e smart card, dispositivi di tracciamento incorporati in telefonini, smartphone ed altri gadget.
L’incontro tra strutture di controllo sociale e di interazione sociale è tangibile in diverse comunità micro e macropolitiche: da un lato le "gated communities" a cui fanno riferimento autori come Baumann, dall’altro di volta in volta il confine USA-Messico, il muro d’Israele, la Fortezza Europa.

Così come il keynesismo elabora lo stato sociale in risposta alla catastrofe operativa del primo laissez-faire – per domare ed imbrigliare il flusso selvaggio del capitale ormai incontrollabile – e riaffermare allo stesso tempo l’autorità statale da esso messa in discussione ai tempi della belle époque 1870-1914 e della prima globalizzazione, il watchfare assolve principalmente a due compiti: il primo di essi è riportare sotto controllo politico il flusso di informazioni, "ridistribuendolo" con gli strumenti di watchfare – come il welfare keynesiano faceva con il capitale – tra i soggetti della comunità (locale, nazionale, interstatale). Questo per spalmare il rischio delle operazioni finanziarie a cui il flusso informativo dà vita – destabilizzante per la coesione sociale – fino a livelli tollerabili.
Il secondo è quello di rispondere preventivamente alle crisi di sovrapproduzione contemporanee in base a diverse strategie, dalla legittimazione di processi di creazione di scarsità artificiale, fino a strumenti di contingentamento come le quote latte ed a investimenti nella stessa industria della sicurezza. Prosegui la lettura »

Nessun commento

Cybersoviet: utopie postdemocratiche e nuovi media

Se c’è qualcosa che nella sperduta periferia telematica Italia – avvolta da una cappa di ignoranza e retorica su cosa sia e a cosa serva la rete – non cessa mai di stupirci è il potenziale apocalittico o messianico che chi si balocca con la politica online, dai picciotti di Giampierone D’Alia ai grillini del comico genovese, non si stanca mai di attribuire ad internet, fonte di ogni male terreno o di ogni possibile emancipazione collettiva.

Per noi Info Free Flowers, inguaribili paranoici e guastafeste, la rete non è uno strumento sovrannaturale ma umano, e come tale soggetto ai mutamenti nei rapporti di forza tra chi la costruisce, chi ne fa uso e chi vorrebbe regolarla; non è un semplice media (se consideriamo i processi di messa a lavoro dell’intelligenza collettiva online che abbiamo già esaminato in passato) e, anche volendo prenderla in esame come tale, non ci sembra rappresentare quel trionfo di comunicazione orizzontale e paritaria che il trionfalismo nuovista ci dipinge; per finire, nel momento in cui viene meno il controllo degli utenti sui propri strumenti di navigazione e comunicazione, la rete non è più una griglia di contatti, ma una recinzione predisposta a far scorrere lo spirito di curiosità e ricerca nei canali degli schematismi omologanti, talvolta dettati dalla censura.

E’ grazie a libri come Cybersoviet di Carlo Formenti che possiamo dotarci di nuovi spunti di riflessione – non consolanti ma sicuramente comprensivi – rispetto a cosa sia diventata l’internet negli anni zero e quali soggetti si muovano nei suoi meandri: chi è impegnato come noi nella costruzione di percorsi politici liberati dal basso vi ritroverà un compendio comparato e trasversale dei diversi approcci teorici di ricerca di una composizione di classe in rete; altri che si avvicinano per la prima volta a queste tematiche, investiti dalla quantità e qualità delle conclusioni delle varie scuole di teoria della rete riportate dall’autore, potranno essere sorpresi dall’apparente ambiguità di alcuni accostamenti – come ad esempio quello di posizioni anarchiche e liberali unite nella critica alle mani regolatorie della "vecchia" politica – che con la lettura del libro si scopriranno invece perfettamente funzionali allo sviluppo dell’internet cyberpop simboleggiata dal web 2.0.

Cybersoviet pone con forza la necessità di ritracciare un confine tra sfera pubblica e sfera privata della comunicazione per sfuggire alla privatizzazione ed all’omologazione
strisciante del dibattito, mette a nudo il sostrato effimero ed esibizionista su cui poggiano le narrazioni ottimiste della soggettivizzazione biografica dei blogger, illustra come l’internet e gli internauti attuali stiano più o meno inconsapevolmente rivolgendosi verso architetture ostili a quel modello di rete libera ed autonoma che era il world wide web degli anni ’90.

Ma qui non ci cimenteremo in una recensione del libro, che piuttosto vi consigliamo di procurarvi per apprezzarlo nella sua ricchezza e completezza. Preferiamo, offrendovi una serie di risorse come il breve bignami della quarta parte del libro qui di seguito, aprire un dibattito ed uno spazio di riflessione, che continuerà a manifestarsi ben presto in incontri e momenti di socialità. Restate sintonizzati! Prosegui la lettura »

Nessun commento

Info Enclosure 2.0 – di Dmytri Kleiner e Brian Wyrick

Storicamente, il fenomeno delle enclosures ha rappresentato un momento chiave della transizione dall’economia agraria a quella industriale:nell’Inghilterra di fine ‘700, recintare privatizzandole le terre comuni (i commons per antonomasia) non significava solo imporre un sistema di diritti di proprietà, ma anche creare un esercito di disoccupati – i contadini la cui sussistenza dipendeva dal libero accesso a quelle terre – pronto a riversarsi nelle città e ad accettare condizioni di vita e lavoro degradanti, oltre a qualsiasi miseria graziosamente concessa dai nuovi padroni dell’industria, pur di sfuggire allo spettro della fame. 

Contrariamente alla retorica neoliberista, questa ci appare come la vera "Tragedy of Commons", che duecento anni dopo puntualmente si ripresenta come farsa, o amara ironia della sorte, se consideriamo il carattere apparentemente speculare e gli obiettivi delle nuove enclosures del cyberspazio, e della nuova manodopera che le subisce.

Infatti, con un altro parallelo, se fino allo scoppio rovinoso della bolla della New Economy delocalizzazione voleva dire riposizionamento del capitale fisso, chiudendo impianti produttivi nei paesi a capitalismo avanzato – ad alto tasso di conflittualità in fabbrica e a compiuta formalizzazione dei diritti dei lavoratori – e spostandoli in altri dove il lavoro veniva (e viene) disciplinato dallo schiavismo e dalla coercizione, nella terra promessa (per gli imprenditori) del Web 2.0, delocalizzazione vuol dire riposizionamento del capitale umano sfruttabile, da una fascia ristretta di professionisti istruiti e remunerati – che avevano modellato in relativa autonomia la prima internet sui propri bisogni e desideri – ad una massa di prosumer-dilettanti, inconsapevoli della messa a valore,della inforecinzione del proprio tempo libero e delle proprie passioni operata dei nuovi infolatifondisti. Con la differenza, rispetto a fine ‘700, che non è il tozzo di pane per sopravvivere la miseria da questi ultimi elargita ma la sensazione, sempre inesausta e bisognosa di riscontri, data agli internauti di essere riusciti a gratificare sé stessi.

Ovviamente ciò non può avvenire senza ingenti investimenti in infrastrutture, sia di comunicazione che di storaggio, che catturino nelle loro maglie la mole più ampia possibile di dati e creazioni personali, da cui ricavare trend per proporre adeguati servizi a pagamento. Un numero sempre crescente di esse viene progettato al fine di privilegiare la circolazione di beni digitali e servizi in rete consumati in conformità con le regole del capitale rispetto agli altri. E la più generale prospettiva di una internet asincrona – che già vediamo nella banda di telecom elargita a due velocità, nei blocchi contro il P2P di Comcast, e nelle campagne in favore di corsie preferenziali per la distribuzione di contenuti in rete – è solo l’ultimo tassello, la pietra tombale, l’istituzionalizzazione definitiva di questo disegno di controllo del cyberspazio.

Il contributo di Dmytri Kleiner e Brian Wyrick che segue completa Copyfarleft, Copyjustright e la Legge Ferrea degli Introiti da Copyright, da noi recentemente tradotto in italiano.

Ricostruisce i passaggi di aggregazione attorno al Web 2.0 di un immaginario capitalista; di come questo abbia vampirizzato, distrutto, e riassemblato attorno alle proprie esigenze l’economia delle dot com, e disperso la classe dei lavoratori della conoscenza che le alimentava; di come il processo di creazione di valore sotteso al Web 2.0 si basi su media effimeri come sensazionalismo, tormentoni e marketing emozionale; di come parallelamente rappresenti una chive di volta nel contrattacco e nella normalizzazione dall’alto sia verso il fenomeno P2P sia verso quella neutralità che ha sempre caratterizzato la rete fin dalle sue origini, riproponendo infrastrutture e modelli di distribuzione di beni e servizi digitali centralizzati ( e per questo facilmente controllabili e censurabili ); evidenziando in sintesi come di fatto il modello comunicativo del tanto decantato secondo web, rappresenti a tutti gli effetti uno strumento paradigmatico di controllo biopolitico volto all’esproprio ed all’imbrigliamento dell’intelligenza collettiva grazie a meccanismi e dispositivi di sfruttamento estensivo e di perenne messa al lavoro di un’intera società, calata in modo brutale nel ciclo vertiginoso di crisi e ristrutturazione del Capitale.

Buona lettura e buon 2009 da parte di tutto il collettivo di IFF! Prosegui la lettura »

1 Commento

Orgoglio e gloria del web 2.0 – Un saggio di Geert Lovink

Geert Lovink “Benvenuti nel web 2.0!” ci dicono speaker ed opinionisti del mainstream globale e le aziende di IT da almeno un paio di anni.

Come sentirsi dire “Buon appetito!” dal macabro pagliaccio di McDonald’s “quando riammucchia i suoi strati di carne unta per vendere un prodotto completamente nuovo ogni sei mesi”.

E allora benvenuti a McMondo, dove potete consumare prodotti standardizzati e già confezionati su misura per bisogni e desideri pensati da altri per voi. Benvenuti nel web 2.0.

Geert Lovink nel breve saggio “Orgoglio e gloria del Web 2.0” (parte del suo ultimo libro “Zero Comments") demolisce, senza nemmeno troppo impegno, il mito di questa tanto sbandierata “Nuova Rete”, criticandone quegli elementi che promettevano la fondazione di una nuova era informatica, e che da verità affermate ed indiscutibili, sotto le riflessioni attente e pungenti del ricercatore olandese si trasformano in palloncini colorati pronti a scoppiare tra le mani dei clown dell’industria dell’informazione… Sta forse per scoppiare un’altra bolla?

Da qualsiasi punto lo si voglia vedere questo web, di 2.0 sembra avere ben poco.

Secondo Lovink si tratta solo di una “paruccata”, una rivoluzione preconfezionata infarcita di linguaggio nuovista ma che propone un concetto di “new media” riciclato ad uso e consumo degli utenti della rete per il profitto delle “solite” grandi corporation.

Ma forse Lovink si sbaglia. Forse noi ci sbagliamo. Forse noi Info Free Flowers, noi fiori malati dell’era dell’informazione, siamo appassiti e decadenti, incapaci di farci avvolgere dai bagliori luminosi di quest’ alba della comunicazione.

E allora questa volta siamo disposti a misurarci con i nostri limiti, uno per uno, e pronti ad ammettere che fino ad ora non abbiamo capito nulla e che tanto vale chiudere questo blog 😛 .

Tutti in religioso silenzio ed incollati agli schermi dei vostri computer adesso: ammirate estasiati il nuovo che avanza.

Prosegui la lettura »

6 Commenti