Articoli con tag intermediari

Microsoft-Skype, ultima chiamata per il mobile

La notizia dell’acquisizione di Skype e del suo bacino di 663 milioni di account registrati (ma di cui solo 124 milioni attivi ed 8,8 paganti) per 8,5 miliardi di dollari da parte di Microsoft – confermata ieri sera e seguita da un’impennata della borsa di New York – si presta a molteplici letture.

La mossa di Microsoft è dettata dal timore di restare ancora una volta indietro nella corsa allo sviluppo tecnologico e marginalizzata nel panorama dei nuovi terreni di valorizzazione informazionale, prima con il passaggio dalla centralità dell’esperienza desktop a quella in rete (fase che vede l’affermazione di Google ed il non casuale tentativo di risposta della grande M con l’acquisto di Bing) e poi con l’allargamento della fruizione della rete dal pc fisso ad una serie di dispositivi mobili.

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Ritorno dalla frontiera – Seconda parte

Vestiti nuovi per la finanza?

E’ noto come Rockefeller Jr. – dopo lo smembramento da parte dell’antitrust statunitense della Standard Oil nelle oggi note “sette sorelle” del petrolio – per necessità ed opportunità avviò tutta una serie di investimenti nel mercato finanziario ed immobiliare, garantendo la tenuta del suo patrimonio e perpetuando il mito della propria dinastia fino ai giorni nostri.

Oggi il contesto è quello dell’economia dell’informazione del web: non quella degli anni ’90, indifferenziata e fruibile solo a pochi addetti ai lavori, ma quella segmentata e personalizzata attuale, soggetta a convenzioni e comportamenti mimetici con cui gli utenti economizzano la propria attenzione rispetto al diluvio informazionale. E se da un lato le capacità regolatorie dell’antitrust sono ridotte ai minimi termini dall’altro nessuno degli infolatifondisti del web 2.0 disdegna il ricorso a svariate forme di investimento – per la necessità di riprodurre i propri servizi e l’opportunità di espandersi in nuove e strategiche dimensioni dell’economia reale e finanziaria.

Come abbiamo scritto altrove si è sempre data una certa consonanza nei meccanismi di valorizzazione del linguaggio nei due ambiti, propria del paradigma produttivo informazionale che li ricomprende; oggi però sembra presentarsi un’ibridazione anche dei loro vocabolari specialistici, se da una parte assistiamo al lancio in sordina delle Google Ventures e dall’altra all’indizione solenne ed ultimativa degli stress test bancari (progettati per valutare la capacità di tenuta degli istituti di credito in ipotetici scenari emergenziali).

Ma che dire dell’ingresso in borsa degli stessi intermediari informazionali? Un po’ di cifre: l’esordio in borsa di LinkedIn (90 milioni di utenti) potrebbe vedere un’offerta pubblica iniziale di almeno 2 miliardi di dollari; GroupOn (70 milioni di utenti), almeno 4.8 miliardi di dollari; Facebook (600 milioni di utenti), 50 miliardi di dollari (tra cui i recenti investimenti di 450 milioni di Goldman Sachs su cui torneremo tra poco) Una stima quest’ultima superiore al valore di Yahoo!, Time Warner ed eBay. Altri attori come Skype, Twitter e l’azienda di social gaming Zynga stanno considerando simili passaggi. Tutto questo, ed in parte la necessità di convogliare la realtà caotica e complessa dei rapporti di produzione del terzo millennio entro schemi di riferimento familiari fa domandare molti: ci stiamo dirigendo verso una bolla del web 2.0? Prosegui la lettura »

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Ritorno dalla frontiera – Prima parte

1885. Diversi anni sono passati dall’esaurimento degli ultimi bagliori nei setacci dei cercatori d’oro californiani, sostituiti dalle scintille dei mezzi meccanizzati della grande industria mineraria. E’ in quest’anno che Leland Stanford – ex-governatore della California e magnate delle ferrovie su cui tanti partecipanti alla grande corsa all’oro avevano viaggiato verso l’ultima frontiera – fonda l’omonima università a sud di San Francisco, in quella che più avanti prenderà il nome di Silicon Valley. 115 anni dopo, proprio da quella stessa università sembra essere partita una nuova corsa all’oro di direzione speculare alla precedente: popolata da attori che, ricchi di reputazione ed informazioni, ma affamati di asset e capitali, tornano dalla frontiera a colonizzare il mondo dell’economia reale come di quella finanziaria, puntando verso là dove tutto è iniziato: la East Coast, New York, Wall Street.

Un mito, quello della frontiera americana, che negli anni ’90 si rinnova con l’internet di massa e la new economy: si è scritto di come nell’immaginario statunitense alla lotta contro la wilderness, “la barbarie della natura e dei popoli”, subentri l’ideologia californiana e la sua promessa della salvezza attraverso la tecnologia. Quella che nello storico documento di Barbrook e Cameron procede attraverso l’alleanza tra hippies e yuppies, le classi sociali cruciali nell’emersione del paradigma dell’economia in rete e a rete, della finanziarizzazione e della conoscenza, unite dal collante del capitale di ventura. Ed un ritorno che parte dalle innovazioni introdotte nel cammino verso quella frontiera e dalle nuove energie che hanno il compito di sostenerne il paradigma produttivo: dove c’erano le ferrovie ora scorrono i cavi delle broadband, ed il petrolio di Rockefeller cede il passo alle energie verdi. Prosegui la lettura »

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L’anomalia italiana di Internet

È di ieri la notizia di un’altra sentenza contro i motori di ricerca che si rendono “responsabili” di linkare materiali illeciti. Dopo la vicenda Google-Vividown, questa volta la scure della magistratura è caduta sulla testa di Yahoo, resasi colpevole di fornire fra i suoi risultati di ricerca indirizzi di siti che permettono la visione di contenuti e materiali audiovisivi coperti da diritto d’autore. E l’Italia è sempre più vicina all’affermazione del principio di responsabilità nell’intermediazione dell’informazione on-line.

Puntualizziamo. Lungi da noi difendere i motori di ricerca che effettivamente svolgono un ruolo di intermediazione informativa e culturale di primissimo piano, dato che rappresentano uno dei gate principali nell’accesso all’informazione. Lungi da noi prendere le parti di attori economici privati che sulla base di criteri stabiliti dalla segretezza dei loro algoritmi svolgono una funzione a carattere pubblico senza che questa venga attualmente regolamentata al pari degli altri media audiovisivi. E lungi da noi stracciarci le vesti (anche perché altrimenti non sapremo più quali abiti indossare) per dei soggetti privati che possono permettersi di esercitare a briglie sciolte un potere spaventoso anche sotto il profilo politico oltre che economico. Ribadiamolo: il potere oggi riposa sulla punta dell’informazione ed i motori di ricerca negli ultimi anni ne hanno spesso attuato forme di governance scellerate. Prosegui la lettura »

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Wikileaks: frammenti di disordine globale

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Il momento storico in cui Wikileaks opera è decisivo: è quello della crisi dell’egemonia militare, economica, politica, culturale e tecnologica statunitense.

La caduta del secondo muro del ‘900 (Wall Street) riproduce le sue richieste di glasnost (“openness”) e perestrojka (“change”) perché persino nella caratterizzazione che la vulgata neoliberista le ha dato l’ideologia democratica ha subito una degenerazione. L’imperativo è la riforma del sistema, l’overstretching planetario degli Stati Uniti segna il passo dall’Iraq all’America Latina, l’esecutivo è debole e sotto tutela da parte di chi ambisce ad una risoluzione reazionaria, integralista ed autenticamente “statunitense” della crisi ideologica.

E dentro a questo scenario già complesso di suo comincia ad aggirarsi uno spettro che bisbiglia nelle orecchie di chi lo incontra: «Le informazioni in rivolta scriveranno la storia».

Spettro ci sembra il termine più adatto per descrivere la figura di Assange, sia per i suoi connotati fisici sia per l’evanescenza con cui è riuscito per diverso tempo a farla franca da polizie e servizi segreti di tutto il mondo.

Eppure la vicenda di WL (Wikileaks), di cui ancora molti capitoli dovranno essere scritti, produce ricadute estremamente concrete, tali da determinare fratture profonde nei reticoli tradizionali del sistema informativo globale, attraversati in questi giorni da movimenti di disaggregazione, scomposizione e riaggregazione. Fratture che rappresentano un punto di non ritorno, espandendosi a trecentosessanta gradi e non a senso unico. Prosegui la lettura »

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Dodici tesi su Wikileaks – di Geert Lovink e Patrice Riemens

Dopo aver dato un nostro contributo di decostruzione ed analisi dell’oggetto Wikileaks, pubblichiamo la traduzione di “Dodici tesi su Wikileaks” un testo di Geert Lovink e Patrice Riemens, apparso nella sua prima versione sulla mailing list “Nettime” nell’agosto di quest’anno ed ampliato a ridosso dell’esplosione del Cablegate. Crediamo sia una riflessione interessante  per allargare gli orizzonti del dibattito su quella che sembra essere una delle fratture più significative del panorama mediatico globale degli ultimi anni. Buona lettura!

Tesi 0

“Cosa penso di WikiLeaks? Penso che sarebbe una buona idea!” (ripreso dalla famosa battuta del Mahatma Gandhi sulla “Civiltà Occidentale”)

Tesi 1

Rivelazioni e fughe di notizie sono state una caratteristica di tutte le epoche, tuttavia nessun gruppo non statale o non para-aziendale prima d’ora ha fatto nulla al livello di quanto WikiLeaks sia riuscita a fare, prima con il video “collateral murder”, poi con gli “Afghan War Logs”, ed ora con il “Cablegate”. Ci sembra di aver raggiunto il momento in cui il salto quantitativo si trasforma nel salto qualitativo. Quando WikiLeaks ha raggiunto il mainstream nei primi mesi del 2010, questo non era ancora dato. Da un lato, le “colossali” rivelazioni di WikiLeaks possono essere spiegate come la conseguenza della spettacolare diffusione dell’utilizzo dell’IT, assieme alla spettacolare discesa dei suoi costi, inclusi quelli di storage di milioni di documenti. Un altro fattore di contributo è il fatto che tenere al sicuro segreti statali ed aziendali – per non parlare di quelli privati – è divenuto difficile in un’epoca di riproducibilità e disseminazione istantanee. WikiLeaks diviene simbolica di una trasformazione nella “società dell’informazione” in generale, detenendo uno specchio di cose a venire. Così, mentre ci si può rivolgere a Wikileaks come ad un progetto (politico) e sottoporla a critica per il proprio modus operandi, la si può anche vedere come la fase “pilota” di un’evoluzione verso una cultura assai più generalizzata di rivelazione anarchica, oltre la tradizionale politica dell’openness e della trasparenza. Prosegui la lettura »

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