Oggi presentiamo il primo di quattro articoli con i quali Infoaut proporrà una serie di considerazioni sulla tenuta mediatica del #19o.
Nei primi tre decostruiremo alcuni dei meccanismi mediante i quali il mainstream ha provato ad alimentare un clima di tensione intorno alla giornata di mobilitazione romana. Filo rosso che attraversa queste tre analisi è la presenza di elementi tecnici e quantitativi (accanto a quelli morali) in grado di farsi propulsori di panico distribuito con cui governare i fenomeni sociali. Questo primo testo decostruisce il dispositivo ribattezzato “manifestometro” ovvero, l’attribuzione di un grado di pericolosità ad un corteo, operata attraverso il ricorso ad una scala numerica. Il secondo affronterà la minaccia di blackout delle rete cellulari ventilata da giornali e televisioni nella giornata del 18 ottobre. Il terzo tenterà di chiarire modalità e circostanze in cui i social network possono trasformarsi in vettori di disinformazione.
Le decine di migliaia di persone scese in piazza a Roma segnano però la sconfitta della strategia terroristica adottata dal circuito informativo generalista contro il #19o. Una disfatta le cui motivazioni (che proveremo ad analizzare nella quarta parte del testo) sono dettate innanzi tutto dall’emersione di una composizione sociale che non è più in alcun modo interessata a contrattare la sua rappresentazione con il mainstream. Al contrario questo è sempre meno media di riferimento per ampi strati di popolazione, impermeabili al suo discorso e ostili nei suoi confronti. Non di secondo piano inoltre è stato l’inedito feeling tra strada e rete che comincia a permeare anche l’attivismo nostrano e la stessa capacità del movimento di pianificare in modo strategico una campagna di comunicazione distribuita su tutto il territorio nazionale, ricorrendo a contenitori simbolici a maglie larghe che hanno permesso alle più differenti realtà di apportare il loro contributo e di entrare in relazione tra di loro.
Buona lettura.
«L’informazione ha perso sul 19 ottobre». È questo l’eloquente titolo dell’editoriale con cui NoTav.info ha consegnato al pubblico le prime valutazioni sulla sollevazione popolare andata in scena per le strade di Roma. Ancora più eloquente ed azzeccata la scelta dell’immagine d’apertura ovvero l’istantanea della prima pagina che apriva l’Huffington Post venerdì 18 ottobre.
Vale la pena di ricordare una volta di più che gli apparati mediali gestiscono la realtà, istituendo regimi di verità e intervenendo nella stessa formazione delle strutture del vedere e del credere. Essi sono tecnologie politiche che, attraverso un discorso, attivano delle tecniche su un dato campo, le applicano e le giustificano. In un processo che non è mai meramente rappresentativo ma sempre squisitamente creativo, ogni evento viene preso, decontestualizzato, smembrato, sezionato, riassemblato e ricontestualizzato in un nuovo simulacro di verità. Il fatto del giorno viene costruito e situato in un apposita cornice cognitiva che ha la funzione di circoscrivere il possibile campo di interpretazione da parte del pubblico e scatenare comportamenti socialmente diffusi intorno ad esso. E i comportamenti, si sa, sono lo snodo fondamentale del dominio.
È evidente che la criminalizzazione preventiva che ha accompagnato il corteo del #19o avesse come obbiettivo quello di creare attorno alla giornata una percezione diffusa di paura, dubbio ed incertezza (insieme di stati d’animo che in inglese sono indicati dall’espressione FUD, acronimo di Fear Uncertainity Doubt). Meno immediati da cogliere sono forse invece quei meccanismi psicologici attivati dal mainstream con l’intento di alimentare tale percezione. Proviamo a decostruirne alcuni.
Il manifestometro
Stan – «Francine stai attenta quando esci: oggi è allarme terrorismo arancione. Per cui potrebbe accadere qualcosa da qualche parte, in qualche modo, in qualche momento. Occhi aperti!»
Hayley – «È fantastico che voi alla CIA abbiate creato un sistemino per far si che la gente sia paralizzata dalla paura».
American Dad 1×01
È il pomeriggio di domenica 6 ottobre quando l’Huffington Post pubblica un articolo a firma di Andrea Purgatori dove vengono riportate le valutazioni di non meglio precisati “analisti dell’intelligence” sull’imminente #19o. Accanto al malcelato tentativo di farla passare per una manifestazione NoTav (un aspetto della vicenda su cui non ci soffermeremo dato le tante analisi già spese in proposito), alla giornata viene attribuito un valore numerico che ne attesterebbe il livello di pericolosità: 4,5 su una scala che va da 1 a 10. Venerdì 18 ottobre, a poco più di 12 ore dall’inizio della manifestazione, viene pubblicato un secondo articolo, sempre di Purgatori, dove si sostiene che la soglia d’allarme sarebbe praticamente raddoppiata, balzando fino ad 8.
Un processo di comunicazione è efficace quando il mittente del messaggio è considerato attendibile. Gli articoli di Purgatori segnano uno scarto rispetto ad altri apparsi in quei giorni perché non demandano la valutazione sugli esiti del #19o al giudizio soggettivo di un questore, di un deputato o di un opinionista. Al contrario presentano al pubblico un sistema di misurazione probabilistica del livello di violenza che la piazza romana avrebbe dovuto esprimere, approntato mediante la raccolta di dati e cifre. Una previsione dunque, derivante da rilevazioni aventi caratteri di scientificità: quantitative, espresse in forma impersonale e presentate sotto le spoglie di una numerazione progressiva da ritenersi in quanto tale razionale ed oggettiva. Non è certo un caso che l’autore ricorra alla metafora del barometro ed al registro metereologico per rendere note le conclusioni dell’intelligence. Siamo di fronte cioè ad un dispositivo narrativo che si nutre e trova la sua legittimità nell’archetipo che assegna al giudizio tecnico una funzione neutrale e super partes, sintetizzata nel luogo comune secondo cui «i numeri non mentono» (esattamente come accade per lo spread, le quotazioni in borsa, i sondaggi o le statistiche).
Riscontrato il pericolo imminente, resta da chiarire sotto che forme questo si materializzerà. «Chi sarà in piazza, a Roma?» si chiede Purgatori il 6 ottobre. Difficile dirlo dato che, a dispetto delle accurate stime dei servizi, «lo scenario della manifestazione rimane ancora troppo confuso», venato com’è da una rabbia «liquida e non completamente radiografabile». Non meno generico è il ritratto della composizione di piazza tratteggiato nell’articolo del 18 ottobre, dove “l’album di famiglia” è praticamente al completo: NoTav, NoMuos, anarco-radicali (?!?), le immancabili cellule estere infiltrate, ultras, centri sociali. «Componenti che si muovono ai margini» del movimento in cui sarebbe passata «la linea dello scontro più duro» da mettere in atto con ogni mezzo necessario: dalle «macchine idropulitrici per spruzzare di vernice le visiere dei caschi degli agenti» fino all’utilizzo di un camion per sfondare i cordoni della celere.
Facciamo attenzione. Il contrasto tra la precisione del dato numerico fornito dai servizi e l’indeterminatezza dell’oggetto a cui tale quantificazione si riferisce è certamente stridente ma svolge una funzione precisa. Ai lettori viene infatti presentata una minaccia considerata come imminente ed oggettiva benché non classificabile in alcuna tipologia chiaramente definibile. Ed è esattamente questa nebulosità in cui il pubblico viene calato a fungere da moltiplicatore di panico: il pericolo c’è ma non si vede. Non si sa esattamente da quale direzione arriverà e quindi il timore di esserne colpiti aumenta, visto che potrebbe giungere da qualsiasi lato. Insomma, il manifestometro tende al peggio. Forse domani su Roma piove merda. Meglio starsene a casa. Anche perché (e questa è un’altra delle funzioni svolte dal manifestometro) dato il clima tempestoso della vigilia, qualsiasi misura adottata in piazza dalle Forze dell’Ordine per calmare le acque sarà giustificata a priori
È semplice a questo punto individuare l’artificiosità su cui poggia questo dispositivo.
Primo, la decontestualizzazione del #19o è operata mediante un riduzionismo che pretenderebbe di etichettare un evento assegnandogli un coefficiente numerico e svuotandolo in questo modo di qualsiasi significato politico. Una logica che se spinta fino al limite mostra i risvolti assurdi di un relativismo estremo: se, come viene fatto in uno dei due articoli in questione, ha senso quantificare il #19o e compararlo con il G8 di Genova del 2001 (due fatti, due movimenti e due contesti storici completamente differenti tra loro) allora perché non ripetere la stessa operazione con l’assalto al Palazzo d’Inverno o, perché no, la presa della Bastiglia?
Secondo, qual’è il criterio scientifico su cui si basa il sistema di misurazione del livello di pericolosità di una manifestazione? Semplicemente non è dato saperlo: all’accecante nitidezza del valore numerico propinato al pubblico fa da contrasto il completo occultamento del sistema tecnico che l’avrebbe elaborato. Per dirla con Ippolita*, siamo di fronte ad una logica prettamente tecnocratica, efficace strumento di gestione della conoscenza, del linguaggio e della percezione della realtà proprio perché dotato di una supposta oggettività scientifica che in quanto tale non va mai messa in discussione ma semplicemente accettata.
È evidente come questa tattica oggi abbia fallito miseramente. Nondimeno viene da domandarsi se in futuro essa non possa essere riproposta in forme più sofisticate. Forse sotto quella del big data? Sappiamo infatti che in questo momento diverse questure italiane stanno progressivamente implementando sistemi di calcolo atti a processare larghe quantità d’informazione a fini di sorveglianza, controllo e prevenzione di comportamenti criminogeni. Viene da chiedersi cioè, se a fronte del crollo verticale di credibilità dei nostri governanti, questi non possano cercare nuove forme di legittimazione accedendo all’ “oracolo tecnologico” che, in virtù delle sue presunte capacità predittive, conferirebbe alle loro decisioni e rappresentazioni un nuovo smalto di autorevolezza, oggettività e verità.
(continua…)
InfoFreeFlow (@infofreeflow) per Infoaut
*Sul concetto di “tecnocrazia” si veda: Ippolita, “Luci ed ombre di Google”, pp 131-145, 2007, Milano, Feltrinelli.
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