Quello che segue è parte di un più ampio lavoro a cui la crew di IFF sta lavorando.
Non è da considerarsi in nessun modo un documento esaustivo, formalizzato o concluso. L’idea è di porne, di volta in volta, in condivisone dei paragrafi su NoBlogs in modo tale che possano risultare utili e propedeutici per coloro che vogliano partecipare alle giornate di not[net]working che stanno per aprirsi. Condividere in questo habitat tale "nostra produzione" è dettato non in ultimo dalla speranza che essa possa essere oggetto di una fruttuosa critica, e perché no, di una revisione collettiva capace di farla progredire ed evolvere da quelli che sono i suoi punti deboli sul piano teorico.
Buona lettura
I miti della rete sono duri a morire.
Uno dei più celebrati è che Internet sia un mezzo di comunicazione capace di ridare vigore al disastrato agorà politico globale, espressione di questi tempi di paure e lacerazioni sociali.
Proclamata anche di recente, quest’asserzione, che attribuisce a internet un ruolo quasi taumaturgico nell’espansione dei processi sociali di democratizzazione e di partecipazione politica, non suona certo nuova agli studiosi ed agli addetti ai lavori dei media digitali.
Essa trova origine e fondamento in diversi ambiti. Le prime traccie sono riscontrabili nella storia e nella letteratura dei teorici cyberpunk, una contro-cultura che proprio nell’orizzontalità e nella presunta natura anarchica delle reti trova due dei suoi miti fondativi . La “Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio” di John Perry Barlow è stata a sua volta uno degli scritti fondamentali nella costruzione dell’immaginario di un territorio liberato dalle ingerenze e dalle forme di controllo statale e corporativiste. Infine, la prima configurazione tecnica dell’architettura di Internet dava adito all’idea di un modello di organizzazione sociale caotico: nelle loro forme remote i network erano infrastrutture “stupide”, da pari a pari, ideate in modo tale che ogni nodo che le componesse avesse lo stesso peso degli altri e che l’intelligenza di questa rete si concentrasse nelle sue diramazioni periferiche, senza subire la mediazione di alcuna autorità centralizzata.
Parliamo però di contributi teorici i quali, senza volerne minimamente disconoscere l’influenza e l’importanza sotto il profilo politico, culturale, sociale e della memoria, sono stati elaborati e sviluppati in contesti completamente differenti rispetto all’epoca di transizione che ci prepariamo ad affrontare.
Eppure, mai come in questi giorni, tanto nel panorama italiano quanto in quello internazionale, descrivere come mitologia o addirittura come vera e propria narrazione apologetica, l’immaginario dell’organismo neo anarchico capace di sfidare i vecchi poteri, ai più può apparire cosa alquanto strana: non è forse il tempo del "change"? E questo "change" non ha forse ampliato a dismisura la sua base d’appoggio proprio grazie alla cosiddetta "YouTube Politics"? E d’altronde la rete non porta in se quel fulcro propulsore in grado di dare una spallata alle “democrazie” rappresentative, ormai sempre più prive di significato e prossime al declino ( almeno nella loro accezione ‘900esca della sovranità degli stati nazione ) incancrenite dalle loro inguaribili mancanze in termini di partecipazione?
A noi sembra piuttosto che, nella grande confusione che regna sotto il cielo ( e viene da chiedersi per chi sia eccellente la situazione ), vecchi modelli di media broadcast travestiti con abiti firmati “Cultura di rete”, mandino in visibilio folle urlanti diventando megafono di proposte populistiche, facili da ingoiare per un pubblico affamato di punti riferimento, stremato dall’inettitudine dalle nuove icone alla loro fallimentare ribalta e reso impotente in un contesto autoritario ed invivibile.
"If you want a vision of the future, imagine a both standing on the human face”.
Le reti, che forti delle armi della trasparenza e di un modello di comunicazioni paritario, promettevano democrazia e nuove forme di partecipazione e di conflitto politico, appaiono invece sempre più come cattive riproduzioni “micro” riflesso di quei modelli culturali “macro” che avrebbero dovuto invece definitivamente sconfiggere.
Ripartendo da questa triste, ma importante constatazione sentiamo allora la necessità di affermare in modo netto che la RETE NON È UN MEDIA. O quanto meno: ci sembra importante sottolineare la nostra lontananza da qualsiasi modello teorico che tragga origine dall’analisi sterile, meramente centrata sull’aspetto comunicativo della tecnologie digitali, perché in questo modo si intraprende una strada che, a nostro avviso, condurrà necessariamente a conclusioni errate e fuorvianti.
Il nostro discorso invece, si vuole innestare sull’inquadramento della rete come un ambiente connaturato ( e quindi “espressione” ) dei rapporti sociali esistenti a livello politico, economico e culturale. Rapporti sociali, senz’altro mediati dalla tecnologia la quale ne è a sua volta concausa.
Questa seconda ipotesi, apre differenti scenari sulle interpretazioni relative al peso avuto dalle nuove tecnologie sulla nostra quotidianità.
Tentando però di seguire il filo del discorso con cui abbiamo impostato questo documento, e utilizzando le armi della critica, già affilate da diversi autori, vorremo in prima battuta concentrarci sulla demolizione del mito della rete che abbiamo sin’ora delineato, a partire da 3 aspetti ( profondamente inscritti nel contesto attuale ) che tratteremo in ordine sparso nel testo:
- L’estensione, a tratti di una ferocia isterica, dei regimi di proprietà intellettuale nell’era della riproducibilità infinita ( stando ben attenti a non cadere in facili e comode trappole linguistiche ).
- La conquista ( in larga parte messa in atto ) da parte delle corporation dell’informazione dei network ( fisici, immateriali e relazionali ) che compongono la rete.
- L’aumento esponenziale dei sistemi di sorveglianza e controllo, che pur non essendo strumenti ascrivibili unicamente alla società dell’informazione, in essa trovano un tratto caratteristico ed un’impennata esponenziale nella loro diffusione dopo gli attentati di New York dell’11 settembre 2001
Questi tre fenomeni, profondamente interconnessi l’uno con l’altro come speriamo di poter mettere in luce nel proseguimento del testo, aprono lo strada a diverse considerazioni relative all’estensione dei processi di sfruttamento e di accumulazione capitalista del sapere in epoca post-fordista. Processi manifesti certo in modo più evidente in rete, ma non per questo estranei, ed anzi ormai sempre più aderenti anche a strategie commerciali non esclusivamente “virtuali”.
Occorrerà quindi dar luogo ad una riflessione in merito al mutato ruolo che la conoscenza oggi riveste nell’ambito dei processi lavorativi, in quello della composizione di classe e nelle dinamiche ( tanto pervasive, quanto impercettibili e per questo efficienti ) del controllo sociale.
(continua…)
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