La prima giornata della terza edizione di Info Free Flow si è svolta presso l’aula C autogestita dell’università di scienze politiche, ed è stata curata, oltre che dalla crew di Info Free Flow, anche dal CUA e dal collettivo SPA.
Tre ore di intenso dibattito e di forte partecipazione degli studenti intervenuti hanno permesso di gettare luce e di avere le idee un pò più chiare su uno dei concetti chiave del sistema neo – liberista: la proprietà intellettuale.
Esperienze apparentemente diverse e contrastanti ( come possono sembrare quelle dell’ensemble narrativo Kai Zen e del progetto libreremo ) si sono confrontate, coinvolgendo i presenti, sulle molte possibilità di libero accesso ai saperi, sul copyleft come arma per forzare le serrature che il capitalismo usa per controllare l’accesso ai flussi informativi, sulla situazione del mercato editoriale italiano e dei suoi soffocanti monopoli.
Andrea di Gruppo Laser, ha appassionato l’aula con il portato dell’esperienza del suo collettivo, autore di un’ opera, "Il sapere liberato", importantissima nel panorama
italiano della critica ai brevetti in campo scientifico.
Nel complesso è stata una giornata assolutamente positiva che speriamo possa aver posto le basi anche per delle collaborazioni future.
Vi proponiamo di seguito tutta una serie di materiali.
La strategia del cavallo, è un articolo che Andrea di gruppo Laser ha pubblicato con tutta una serie di sue impressioni sull’iniziativa.
Ecco qui invece gli audio registrati durante la giornata che speriamo possano sia permettere ai lettori del blog di farsi un’idea sulla questione sia di produrre nuovi stimoli e nuove idee per le prossime edizioni di Info Free Flow.
KaiZen
– L’esperienza dell’ensemble narrativo Kai Zen:
#Parte 1
http://noblogs.org/flash/mp3player/mp3player.swf
A questo link invece, potete trovare l’intervento di un’attivista del Laboratorio Crash, curatrice del libro "Scorrete lacrime disse lo sceriffo", cui ha partecipato anche Valerio Evangelisti.
Di seguito pubblichiamo invece l’abstract di tutta la giornata.
Non smetteremo mai di sottolineare che i commenti sono aperti e che critiche ed opinioni dei nostri lettori sono sempre ben accette.
Buona lettura.
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Nelle passate edizioni di Info Free Flow, a vario titolo ed in
differenti campi, abbiamo sempre provato ad indagare il binomio sapere –
potere: un binomio che assume il significato del dominio e i tratti del
governo biopolitico dell’individuo, relativamente ai processi di
sorveglianza economica e controllo sociale dentro e fuori la rete.
Oggi, grazie all’intervento di una serie di realtà che hanno deciso di
partecipare a questa edizione di I.F.F. , ci concentreremo in particolar
modo su una delle più evidenti forme di espressione capitalista di
questo binomio, una delle architravi portanti e degli emblemi del
sistema economico neoliberista: la proprietà intellettuale.
Questo concetto non è certamente nuovo ed è tangente alle dinamiche ed
ai processi economici da almeno tre secoli: le prime forme di copyright
( la più tristemente nota declinazione giuridica della proprietà
intellettuale applicata alle forme di espressione e alla produzione
artistica ) risalgono all’industria editoriale del 600 in Inghilterra e
fin d’allora furono oggetto di forti conflitti dovuti al tentativo
dell’industria editoriale di
#1.Celare quella che era la funzione principale per cui il copyright era
stato architettato ovvero favorire la distribuzione
#2.Sostenere il mito per cui esso era necessario per far fronte al
sostentamento di scrittori ed artisti.
Negli ultimi trent’anni l’economia capitalista occidentale ha subito una
forte trasformazione , diventando come la conosciamo oggi: il ruolo di traino del sistema economico che prima veniva svolto
dall’industria ha assunto un peso nettamente minore ( o quanto meno è
stato fortemente ridimensionato ), a favore di un economia dei beni
immateriali che produce servizi e si basa sulla privatizzazione e sulla
mercificazione di conoscenze ed informazioni.
In un contesto segnato dalla nascita delle tecniche informazionali,
della loro diffusione massificata, del digitale, delle reti, dalla
riproducibilità infinita delle informazioni e della messa a valore
delle conoscenze dell’individuo, la proprietà intellettuale ha assunto
quindi un valore ben più determinante.
Questa trasformazione ha determinato tutta una serie di cambiamenti
epocali di cui oggi vediamo le conseguenze: prima fra tutte, il
ribaltamento della concezione del sapere e delle sue pratiche di
ri/produzione, condivisione e diffusione.
Da bene comune, collettivo ( perché prodotto proprio da pratiche sociali ) ed in quanto tale utilizzabile da chicchessia senza il
bisogno di ottenere alcun permesso, a bene privato frammentato in mille
minuscoli ed inutilizzabili pezzettini.
Da risorsa illimitata, prodotta da una stratificazione di conoscenze
dettata dagli impulsi e dalla continua elaborazione e moltiplicazione
collettiva ( in ultima dalla condivisione ), a risorsa limitata,
concentrata e controllata da poche mani.
Da bene troppo prezioso ( socialmente parlando ) per poter avere un
prezzo, a merce ricercatissima sui mercati e sulle piazze finanziarie
dell’intero globo.
L’imposizione di scarsità artificiale, dettata da copyright, brevetti, da
marchi, in ultima da forme di proprietà sul sapere, è stata costruita
negli ultimi decenni dall’azione prolungata e rigorosa di un enorme
apparato, composto da forze di mercato, organizzazioni sovranazionali,
lobby e singoli stati adoperatisi per un internalizzazione del regime di
proprietà intellettuale.
Un apparato che ha giustificato questa sua azione con una propaganda a
senso unico il cui obbiettivo è il mantenimento di uno stato mentale,
un’attitudine verso il lavoro creativo, la quale dice che qualcuno deve
possedere i prodotti della mente, controllare chi può copiarli e
controllarne le possibilità ed i modi del suo sviluppo.
Conseguenza diretta di questa propaganda è stata anche l’accettazione
comune dell’idea secondo cui la proprietà intellettuale è il modo in cui
la maggior parte dei creatori di prodotti dell’ingegno si guadagnano da
vivere e che senza di essa i motori della produzione intellettuale si
fermerebbero: gli artisti, gli scrittori, i ricercatori, i musicisti, i
programmatori di software non solo non avrebbero i mezzi ma neppure le
motivazioni per produrre nuove opere (!!).
La creazione di questo regime di proprietà intellettuale e
l’appropriazione forsennata dell’informazione, della cultura e dei
prodotti dell’ingegno da parte di attori economici ha provocato una
lunga lista di tensioni e conflitti, producendo specularmente costi
sociali altissimi sia per creatività, sia per l’accesso al sapere sia
per la sua possibilità di diffusione e manipolazione.
Costi che paghiamo quotidianamente sulla nostra pelle in nome del motto
schumpteriano per cui “Se non c’è rendita non c’è innovazione”.
L’estensione infinita del diritto di autore ha portato alla non –
esistenza di un dominio pubblico per i media audio – video ed ad un
sostanziale analfabetismo e passività nell’uso di questi media.
Per ciò che riguarda l’università invece il problema della
mercificazione del sapere si articola su due differenti piani: da una
parte poche case editoriali, scientifiche ed umanistiche, posseggono
vasti strati delle pubblicazioni universitarie ( spesso pessime ) e
creano di fatto dei blocchi monopolistici tali da imporre costi
proibitivi per gli studenti nel già drammatico quadro di precarietà
esistenziale che affligge i soggetti sociali più deboli .
D’altra parte il volto e la natura della ricerca soni stato stravolti da
trent’anni di progressiva affermazione dell’ideologia brevettuale, e
sradicati da quel contesto fatto di condivisione, scambio ed anche
competizione: principi che fino a pochi anni fa erano le travi portanti
ed il tessuto connettivo della comunità scientifica.
La globalizzazione dei brevetti ha arrecato seri ostacoli allo sviluppo
dei paesi del sud del mondo stretti nella morsa brevettuale degli Stati
Uniti, del Wipo e del Wto.
Allo stesso modo in ambito informatico 15 anni di monopolio della
Microsoft hanno causato grossi danni: uno su tutti ( e diciamo uno
perché i danni specialmente in questo ambito sono stati molteplici e
ripetuti nel tempo ) è stato il tentativo di relegare l’uso del computer
e delle tecnologie digitali in un’ottica puramente commerciale e
strumentale al lavoro, rendendo dipendenti gli utenti ed addestrandoli
a conoscere il minimo indispensabile del funzionamento di un sistema
operativo, giusto quello che serve per “consumare informazioni” o per
trasformare il tempo libero e la comunicazione in lavoro 24 ore su 24:
la fluidità delle reti diventa flessibilità totale.
Accanto ai metodi di sfruttamento tipici della proprietà intellettuale
tout court ( “tutti i diritti riservati” ) si manifestano oggi anche
strategie commerciali basate sull’apertura dei saperi e dei codici
laddove essa sia vantaggiosa per il profitto delle aziende: in campo
informatico ( ma non solo ) il cosiddetto Open Source ( ovvero il
software basato su un codice sorgente aperto ) rappresenta di fatto il
nuovo volto della logica e della strategia capitalista: più umano, ma
non per questo meno feroce.
Open source e software libero non devono essere confusi, per quanto la
somiglianza dei due termini possa trarre in inganno.
Se il movimento del software libero infatti ha sempre posto come suo
obbiettivo la creazione di alfabeti informatici, capaci di articolare in
modo infinito nuove strumenti e nuovi linguaggi, l’open source, con una
logica TOTALMENTE interna al mercato, si preoccupa piuttosto di quali
siano le modalità migliori di definire un prodotto secondo criteri open,
cooptando le capacità cooperative di produzione del sapere nelle
comunità di sviluppatori di software.
Un dato finale su cui porre l’accento della riflessione è la fragilità
di questi monopoli.
L’intrinseca capacità di riprodurre all’infinito l’informazione tramite
i mezzi informativi digitali e l’aumento esponenziale delle potenzialità
comunicative ed espressive di coloro che li usano, rende obsoleto il
business su cui essi si basano.
E proprio a causa di ciò i canali di produzione e distribuzione del
sapere ( in primis la Rete ) vengono sottoposti a continue misure di
polizia e di sorveglianza pervasiva spesso accompagnate da campagne di
terrorismo e disinformazione mediatiche.
Questi conflitti e contraddizioni vengono messi a nudo quotidianamente
da numerosi movimenti che in differenti ambiti si battono contro la
privatizzazione del sapere. Dal movimento per il software libero, ai
media cooperativi, a quello per le pubblicazioni aperte scientifiche
fino alle nuove forma di net – art che proprio della cooperazione e del
libero scambio di saperi, fanno il loro cavallo di battaglia.
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