Il digitale e l’espansione di Internet hanno dato vita dal momento in cui
hanno cominciato a diffondersi a livello di massa ad una vera e propria
rivoluzione nei rapporti di potere in ambito informativo e comunicativo.
Si sono infatti verificate le condizioni per cui un enorme numero di
persone interconnesse tra loro avesse la possibilità di accedere grazie al
linguaggio dei bit a massicce quantità di informazioni, di pubblicarle e
di condividerle senza che vi fosse alcun tipo di mediazione, di filtro e
quindi anche di censura nella loro diffusione e nella loro ricerca.
L’utilizzo sempre più diffuso di queste nuove tecnologie ha permesso che
si sviluppassero fitte reti sociali e comunità virtuali di soggetti reali
che sotto il segno della cooperazione creativa e dello scambio libero di
conoscenze hanno valorizzato la loro soggettività (con i desideri ed i
bisogni che essa esprimeva) sperimentando nuove molteplici pratiche:
tecnologiche, politiche, artistiche, narrative, scientifiche.
E tutto questo avviene in una prima fase in gran parte al di fuori del
controllo di istituzioni statali, di governi e di condizionamenti del
mercato il cui ruolo viene prima ridimensionato poi messo in discussione
ed infine spesso e volentieri contrastato.
Il P2P (i sistemi di condivisione e scambio on-line di musica, film,
software e qualsiasi altro genere di contenuto all’interno di una rete
comune) poco alla volta va dissolvendo il sistema della proprietà
intellettuale e la logica di mercificazione della cultura che gli è
proprio.
Le grandi multinazionali monopoliste dell’industria dell’intrattenimento
vedono minacciata assieme alla loro figura mediatrice nella distribuzione
dei contenuti (software, musicali e cinematografici ) anche il loro
mainstream costruito sul profitto e caratterizzato da un avvilente miseria
culturale.
Nascono etichette musicali ed esperimenti narrativi che, optando per una
creazione ed una distribuzione autogestita, decidono di dare valore al
significato intrinseco ed all’indipendenza del processo intellettuale di
creazione di un’opera piuttosto che alle sue possibilità commerciali.
Si cominciano ad utilizzare forme di protesta telematica come i Netstrike:
cortei virtuali dove migliaia di persone occupano la banda dei siti
obiettivo e ne impediscono l’accesso bloccandone l’attività. Il primo
viene organizzato da ECN nel 1996 contro gli esperimenti nucleari francesi
a Mururoa e nel tempo se ne susseguiranno molti altri.
Trovano terreno fertile e si moltiplicano dal basso media tattici, (Isole
nella Rete, Tactical Media Crew, New Global Vision, le radio web,
Indymedia) protagonisti attivi nelle lotte e nei conflitti degli ultimi
anni che in modo totalmente indipendente e orizzontale sono capaci di
coinvolgere migliaia di persone nel tentativo di rompere il monopolio
dell’informazione dei media ufficiali ed istituzionali che sappiamo essere
uno degli elementi chiave del dominio del pensiero unico e del
capitalismo.
Esplodono i sistemi operativi liberi basati sul kernel Linux, figli della
mentalità pratica, libertaria, anti-autoritaria e non burocratica
propria dello spirito hacker. Sono sempre più numerosi i software gratuiti
nonché implementati e continuamente migliorati da sterminate legioni di
programmatori, di tester, di debugger e di semplici utenti che hanno
accesso al codice sorgente con cui essi sono costruiti. Il punto cardine
che contraddistingue questa impresa creativa con i contorni
dell’esperimento sociale non è tanto la gratuità quanto la creazione di
programmi liberi da qualsiasi forma di monopolio intellettuale ed
economico.
Questa rottura del ciclo informativo accompagnata da un’ insorgenza
comunicativa centuplicata dalla tecnologia informatica ha fatto tremare le
cime delle piramidi del potere, scosse alle loro fondamenta.
E sempre più Internet è diventata un teatro di conflitti ed una ragnatela
di tensioni irrisolte.
Governi, istituzioni e multinazionali globali reagiscono a tutto questo
con una furia cieca ed insensata (prima) e con più sottili strategie (poi)
tentando di normalizzare la rete facendola rientrare all’interno dei
parametri previsti dal mercato globale.
Deve cambiare la struttura della rete, devono cambiare le leggi che la
regolamentano, deve cambiare l’immaginario che la circonda. L’imperativo é
far si che Internet non sia più un territorio di libera comunicazione e di
libero accesso ai saperi ma che diventi un grande super-mercato globale
costruito in modo tale da rendere tutti i suoi utenti dei possibili
consumatori.
L’obbiettivo ultimo è la creazione di un ambiente informativo "sicuro",
cioè "protetto" e libero da qualsiasi forma di dissenso e di opposizione o
da "fattori rischio" che potrebbero ostacolare la circolazione di capitali
e la commercializzazione della rete.
Negli ultimi anni assistiamo infatti allo sviluppo di di tutta una serie
di mezzi di controllo dell’informazione in rete. Mezzi di controllo che, é
bene sottolinearlo, sono efficaci quando la portata della loro azione é
resa possibile ed é distribuita su più livelli grazie alla realizzazione
di potenti strumenti legali, allo sfruttamento di caratteristiche tecniche
esistenti ed all’introduzione di nuove con chiare funzioni di
sorveglianza, condizionamento e repressione.
Da una parte le architetture di rete, l’hardware che compone i computer ed
i software che vi utilizziamo, vengono sempre più concepiti e progettati
in modo tale da risultare
0# In alcuni casi (come per i log dei server, i cookies, i filtri web)
veri e propri strumenti di sorveglianza e di monitoraggio sulle nostre
attività, sulle nostre attitudini, su come ci muoviamo in rete, su che
siti guardiamo, con chi parliamo, che contenuti abbiamo sui nostri HDD,
che cosa facciamo e quando lo facciamo.
1# In altri casi come dispositivi di limitazione all’accesso di saperi e
conoscenze altrimenti disponibili nel mare magnum della rete.
Un esempio tipico è il DRM (digital rights management – gestione dei
diritti digitali). Utilizzato per la prima volta dalla Sony in un cd
musicale, è una forma di limitazione tecnica il cui scopo di fondo é poter
gestire l’intero ciclo di vita di un oggetto digitale (un film, un brano
audio, un software, un e-book, un’immagine) e delle sue copie in modo tale
da garantire la riscossione dei diritti d’autore in eterno.
Quelle di cui stiamo parlando sono certamente questioni tecniche che però
a ben guardare inglobano chiare scelte politiche che alla fine decidono
del chi, del come, del quando e a quale prezzo si avrà accesso alla Rete e
a quale tipo di Rete.
Scelte politiche che troviamo presenti anche in legislazioni nazionali ed
internazionali sempre più repressive e ottusamente arroganti.
Prende il via un’ irreggimentazione tanto brutale quanto inefficace del
sistema della proprietà intellettuale con l’emanazione di norme che
criminalizzano il P2P (come il decreto Urbani), rendono possibile una
monitorazione costante delle reti di scambio di files e sfociano in
momenti repressivi caratterizzati dalla chiusura forzata (o per sequestri
delle autorità o per minacce legali delle major) di vari server delle reti
di filesharing(come é stato il caso di Razorback2, e-donkey2000, WinMX e
più indietro nel tempo il progenitore Napster) o dalla denuncia di
migliaia di persone (anche se all’oggi nessuna di esse ha mai sortito
qualche effetto significativo).
Allo stesso tempo viene esteso oltre ogni ragionevole periodo il diritto
d’autore e viene allargato senza alcun criterio sensato (se non quello
odioso dello sfruttamento del sapere sociale) il campo degli oggetti di
tali diritti includendovi cose che fino a ieri erano considerate dei beni
comuni: dai cibi più ordinari alle musica popolare , dagli algoritmi
matematici più basilari che costituiscono i sistemi operativi dei nostri
computer alla ricerca universitaria, passando per le sequenze del DNA
(umano e non).
E dopo l’11 settembre la guerra infinita si scatena anche tra le maglie
globali della rete: nel 2003 l’FBI sequestra illegalmente a Londra i
server di Indymedia.
L’anno successivo Autistici/Inventati subisce il sequestro, prima di un
sito di satira (dove veniva sottolineato il ruolo attivo e la
partecipazione di Trenitalia ai massacri in Iraq) e poi del contenuto dei
dischi del server di posta elettronica che ospitava le caselle e-mail di
migliaia di utenti.
Il decreto Pisanu (varato l’anno scorso) grazie al clima di panico
diffuso costruito ad arte ed al tacito assenso della maggioranza delle
forze politiche in Parlamento, autorizza l’approvazione di un pacchetto
di norme che permette una conservazione dei dati sugli utenti Internet
italiani (in gergo tecnico chiamata data retention) che é praticamente
infinita, rendendo così il controllo sociale in rete sempre più esteso e
pervasivo.
Anche il mercato gioca il suo ruolo in questa partita : sono numerosi
negli ultimi tempi i tentativi di sussumere e disciplinare subdolamente le
pratiche di libera comunicazione e diffusione dell’informazione nel
tentativo di riportarle alla logica del ciclo di consumo e di produzione.
Esperimenti più evidenti e sfacciati sono quelli che prevedono la
creazione di siti che per conto della grande industria discografica
vendono mp3 a pochi centesimi di euro (distruggendo qualsiasi logica di
condivisione e scambio). Altri più soft e raffinati sono riconducibili ai
software open – source (OPEN NON È FREE) che buttando alle ortiche il
concetto di libertà caratteristico del free software e della cultura
hacker si propongono al mercato come strategia commerciale capace di
espropriare senza troppi dilemmi etici e politici il sapere e l’esperienza
degli utenti della rete, trasformando anche i momenti di cooperazione in
un modello di business e di profitto.
Senza dimenticare il ruolo dei motori di ricerca che pur essendo strumenti
assolutamente necessari per surfare il mare agitato e sempre in piena
della rete, sono anche servizi commerciali che deformano in modi
totalmente arbitrari (spesso causati da interessi commerciali o da forti
pressioni di censura) l’indicizzazione (il ranking) dei siti web presenti
in rete.
Fa da sottofondo a questo concerto di tecno – controllo, condizionamenti
del mercato e legislazione autoritaria il terrorismo mediatico operato
dagli organi ufficiali di televisione e stampa : sempre più Internet viene
dipinta come un "covo" notoriamente frequentato da violenti eversori
dissidenti o da pedofili senza scrupoli.
Va sempre di moda la storiella dell’hacker cattivo che grazie ai suoi
perfidi sistemi operativi fa esplodere dighe ed inonda intere regioni
della Cina orientale, pratica magia nera on line con le bestie di Satana
via MSN, profana la santità del sito del Vaticano usando il mouse per
fornicare con le gif animate dei SS. Pietro e Paolo o all’occorrenza
scioglie i ghiacci dei poli.
Il P2P viene additato come l’epicentro di buona parte dei mali del globo:
da veicolo di contenuti violenti e diseducativi a centro di smistamento di
comunicati di Al Qaeda o dell’organizzazione terroristica di moda quel
mese.
Vediamo quindi come gerarchizzando e chiudendo l’accesso alle informazioni
(e dipingendo come un esecrabile delitto l’idea di condividerle) si tenti
di imporre una censura comportamentale sull’utente nell’interazione con le
tecnologie, un disciplinamento forzato nell’uso del mezzo digitale. Un uso
che diventa limitante e limitato e che appiattisce la capacità di plasmare
la matrice del reale in modo autonomo, alterando l’interazione con le
macchine e trasformandole (spesso e volentieri senza che il soggetto se ne
possa rendere conto) in dispositivi di controllo o in meri oggetti atti al
consumo.
Per far si che la rete non venga chiusa (o radicalmente trasformata),
blindata bit dop bit dalle architetture di controllo, dalle cause
intentate dalle corporation del copyright e dei brevetti, da burocrazie
ottuse e da misure legislative oscurantiste, dobbiamo saper tracciare
delle vie di fuga e di opposizione alla mercificazione del sapere ed alle
strategie di controllo globale.
Un attitudine critica, creativa ed una conoscenza dei meccanismi di
funzionamento delle macchine e dei mezzi digitali ne permette un uso
liberatorio e gioioso utile a soddisfare bisogni e desideri (comunicativi
e non) ma anche a scompaginare, ad aggirare ed a sabotare all’infinito i
sistemi chiusi basati sul profitto ricavato tramite il controllo e la
scarsità.
Diventa allora necessaria in questo senso un’ auto – formazione ed una
ricerca costante di conoscenze non certo ascrivibile ad un processo
intellettuale puramente individuale ma da ricercarsi piuttosto nella
partecipazione, nello scambio, nella cooperazione e nella moltiplicazione
del sapere che si crea nelle numerose e caotiche comunità sociali mosse
dalle medesime passioni felici: la volontà di una comunicazione libera,
la necessità di soddisfare bisogni e di dare sfogo ai propri desideri ed
alla propria curiosità mettendo ben salde le mani sopra le macchine ed
avendo accesso totale all’informazione.
Ma se riconosciamo la natura intrinsecamente capitalista delle dinamiche
di sorveglianza e controllo di cui abbiamo parlato allora riconosciamo
anche il bisogno di muoversi in una prospettiva più ampia. È necessario
affiancare alle pratiche di apertura, di riappropriazione del sapere
socialmente prodotto anche la creazione di luoghi virtuali e non che non
siano semplicemente dei nodi neutri di trasmissione dei saperi poiché
questa può risultare un arma a doppio taglio.
Se il P2P viene inteso unicamente come un mezzo per avere accesso alle
ultime produzioni natalizie dei fratelli Vanzina, alla spazzatura di
Hollywood, ai videogames conservatori e astutamente fascisti ideati e
realizzati in collaborazione con il Pentagono, allora questo rischia di
diventare l’ennesima "arma di distrazione di massa".
Se ci accontentiamo di masterizzare programmi proprietari dal codice
sconosciuto allora non facciamo altro che favorire chi ne detiene il
monopolio contribuendo a diffondere standard e formati chiusi, non
modificabili e non accessibili a tutti (rischiando inoltre così di
incappare a nostra insaputa in congegni di sorveglianza sulle nostre
azioni).
Ma se pure consideriamo Linux semplicemente come un sostituto gratuito
(anche se ormai non é sempre così) e più efficiente di Windows allora
rischieremo di fare da sponda alle nuove forme di capitalismo open.
E allo stesso modo se anche riusciamo a digitalizzare e rendere
disponibili tutti i testi universitari di cui abbiamo bisogno (impresa
alquanto ardua!) questo non cambierà di una virgola il processo di
In/formazione che ci investe rendendoci precari sempre e comunque.
La questione oggi non sta tanto (o almeno non solo) nell’apertura, quanto
nell’articolazione delle dinamiche alternative che concorrono a produrre,
rielaborare e diffondere i saperi.
Non basta saper utilizzare un computer e conoscere il codice sorgente
sistema operativo ma é importante auto – coltivare una coscienza critica
relativa sia ai meccanismi di funzionamento dei mezzi digitali sia a come
questi meccanismi influiscano sui flussi informativi che innervano la
quotidianità della rete (e non solo) andando ad innescare processi
politici, economici e sociali ben più ampi.
La parola d’ordine é fare network con differenti soggetti con i quali
possa essere fondata la critica degli strumenti virtuali e con cui poter
sperimentare saperi-contro e contro-saperi che ci permettano di essere (e
di farci recepire) come soggetti attivi ed autonomi nella creazione e nel
mantenimento di un’ internet libera.
Liberiamo saperi e diffondiamo formati liberi, danneggiamo i network
ufficiali e creiamone altri in contrapposizione, apprendiamo i sistemi di
sorveglianza della società dell’informazione per annullarne l’efficacia,
coltiviamo un uso sovversivo della tecnica utilizzandola per affiancare
lotte sociali e potenziarne le capacità d’urto.
Copy.Riot Project
B.A.Z. Crew
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