La censura ai tempi della crisi


Sia ben chiaro: non siamo mai stati così ingenui da ritenere che la censura fosse un retaggio del passato o una declinazione tecnologica dell’autoritarismo dei regimi del sud est asiatico.

Tanto l’affare Comcast quanto quello nostrano di Pirate Bay si commentavano da soli, gridando ai quattro venti che il mito della rete come organismo anarchico ed incontrollabile fosse destinato a crollare miseramente su se stesso e che si stavano preparando tempi bui per la libertà ed i diritti digitali degli utenti in rete.

Ci viene spontaneo pensare di fronte agli ultimi eventi che il governo italiano, spaventato dalle possibili conseguenze di una crisi economica che sembra essere senza precedenti, stia approntando tutti gli strumenti per far fronte alle forme di conflittualità diffusa che ne potrebbero scaturire sui territori.

Dopo l’invio della circolare del ministero degli interni a tutte le prefetture italiane, che prevede il divieto di far sfilare cortei e manifestazioni nei centri nevralgici delle zone urbane ( con il chiaro obbiettivo di evitare il ripetersi degli scenari dello scorso autunno dove intere città italiane rimasero bloccate dalla protesta degli studenti in mobilitazione contro i tagli alla scuola messi in atto dal ministro gelmini ) ora si tenta di mettere il bavaglio anche alla rete ed al suo potenziale comunicativo, che in una fase di acuto conflitto sociale potrebbe risultare determinante per il coordinamento e la propagazione delle lotte.

Un emendamento al pacchetto sicurezza approvato al Senato ( ma il testo deve ancora passare alla Camera ) proposto dal senatore Gianpiero D’Alia ( in quota UDC, un partito che già in passato aveva dimostrato un attivismo implacabile in merito alla moralizzazione delle attività dei netizen ) renderà possibile, su richiesta DISCREZIONALE del ministero degli interni l’oscuramento di siti colpevoli di apologia di reato o di istigazione a delinquere. Chi andrebbe poi ad occuparsi dell’isolamento del sito da Internet sarebbero i provider, i quali, in caso di inadempienza potrebbero incorrere in multe variabili dai 50000 ai 250000 euro ed essere a loro volta imputati di apologia o istigazione di reato.

Il passaggio saliente del decreto è questo:
"In caso di accertata apologia o incitamento, il ministro dell’Interno dispone con proprio decreto l’interruzione dell’attività indicata, ordinando ai fornitori di servizi di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine, applicando sanzioni pecuniarie per gli inadempienti"

In pratica questo disegno di legge propone uno spostamento del target dell’azione repressiva dal singolo utente ai provider in modo tale da trasformarli in cani poliziotto al servizio del Viminale. Vi ricorda qualcosa?

Questo significa che, in una fase particolarmente acuta di conflitto che potrebbe andare a svilupparsi nei prossimi mesi, qualora maroni lo ritenga indispensabile ( ripetiamo, è una SUA scelta totalmente DISCREZIONALE ) basterà un cenno per far sequestrare e bloccare rapidamente qualsiasi sito o progetto di comunicazione che possa dare fastidio.

Tre esempi veloci veloci?

  1. Un articolo di appoggio alla resistenza palestinese viene fatto passare per incitamento all’antisemitismo ( nulla di più facile in un periodo in cui tutta la compagine politica isitituzionale si caratterizza per le sue servili e smaccate posizioni filo- sioniste): Istigazione a delinquere -> Oscuramento del sito.
  2. Un intervista audio, dopo uno sgombero con annessi scontri, dove un qualche compagno di una qualche realtà rivendica la piena legittimità e la necessità di difendere gli spazi sociali e la pratica dell’occupazione con radicalità e forme di resistenza: Apologia di reato -> Oscuramento del sito.
  3. Un volantino dove si invita a riprendersi l’università con una notte bianca o dove si lancia un corteo non autorizzato ( a Bologna ce ne sono stati a decine negli ultimi 5 mesi ): Istigazione a delinquere -> Oscuramento del sito


E se volete una nostra opinione spassionata non crediamo basteranno stratagemmi linguistici di alcun tipo per ovviare a questo problema, di fronte ad un esecutivo che non sembra tanto andarci per il sottile e che comincia a mordere come un cane rabbioso messo all’angolo.

C’è però un altra lettura che vorremo dare di questa notizia.
Il panorama attuale, presenta una serie di inquietanti analogie con quello della crisi americana successiva allo scoppio della bolla della new economy e dell’11 settembre. Ci pare che si stia andando a delineare una sorta di welfare del controllo sociale con imprevedibili conseguenze a medio e lungo termine.

Di che cosa stiamo parlando?
Tanto lo scenario odierno, quanto quello del 2001 presentano tratti comuni dal punto di vista economico, giuridico e mediatico: una società frammentata ed impaurita grazie al continuo martellamento mediatico rende possibile la giustificazione di una dottrina giuridica vistosamente autoritaria che si traduce in investimenti della spesa pubblica nel settore della sicurezza.
Il "patriot act" al tempo infatti fu uno degli elementi principali ( oltre alla guerra naturalmente ) nel ridare ossigeno all’ansimante economia americana in fase di recessone, poiché comportò un notevole investiment del denaro dei contribuenti nell’industria della sorveglianza: apparati di sicurezza, controlli biometrici, incrocio dei dati di sterminati database per controllare i movimenti negli areoporti, in rete fino addirittura al monitoraggio del sistema nazionale delle biblioteche.

Allo stesso modo, proprio qui a Bologna nell’ultimo periodo il comune e la regione hanno pianificato a approvato circa 300000 euro di spesa nell’ammodernamento e nel miglioramento del già ridondante sistema di videosorveglianza: non è un caso che esso verrà rinforzato in via del Pratello, piazza Verdi, piazza S.Stefano, da sempre luoghi tipici della socialità felsinea, che negli ultimi anni ( ma con rinnovato vigore negli ultimi mesi ) sono stati oggetto di feroci campagne mediatiche all’insegna del falso dibattito "Sicurezza o degrado", dietro a cui si nasconde in realtà una ben più cruciale questione legata alla volontà di mutare il volto di pezzi importanti del tessuto urbano bolognese.

Ma che cosa c’entra questo con l’emendamento liberticida al pacchetto sicurezza? C’entra.
Innanzi tutto c’entra per le modalità con cui è stato giustificato: a sentire lo zelante senatore D’Alia infatti si tratterebbe di un provvedimento necessario per " dare concretezza alle nostre iniziative per ripulire la rete, e in particolare il social network Facebook, dagli emuli di Riina, Provenzano, delle Br, degli stupratori di Guidonia e di tutti gli altri cattivi esempi cui finora si è dato irresponsabilmente spazio." Già che c’era nel mucchio poteva buttarci pure le bestie di Satana ed il myspace dei lefebrviani.

Ma c’entra anche perché c’è un aspetto sollevato sulle pagine di punto informatico nelle ultime ore che ci ha messo la pulce nell’orecchio.

"Sono numerosi gli interrogativi che si configurerebbero, qualora il DDL dovesse convertirsi in legge senza che l’art.50-bis venga stralciato. L’attenzione dell’autorità giudiziaria potrebbe concentrarsi ad esempio su un video postato su YouTube. Nell’ipotesi che YouTube non rimuova il contenuto su segnalazione, dovrebbero intervenire i provider. Che potrebbero non avere i mezzi per agire in maniera chirurgica, e potrebbero trovarsi costretti a inibire l’accesso all’intero dominio."

La conclusione ci sembra azzardata, almeno per quel che riguarda la possibilità di un interdizione dell’intero dominio di colossi come facebook o youtube, ma  la premessa solleva interrogativi a cui sarebbe interessante rispondere: data l’impossibilità di agire chirurgicamente ( nel caso sopracitato infatti sarebbe impossibile agire con il tipico blocco dei dns che era stato messo in atto nel caso pirate bay ) quali potrebbero essere le conseguenze? Si profila forse all’orizzonte la possibilità di un "trusted social networking"? Con quali costi? Pagati da chi?

È ancora presto per dare una risposta a queste domande ( le disposzioni in merito verranno attuate a 60 giorni dall’entrata in vigore della legge ) ma in ogni modo ci sembra di intravedere all’orizzonte il rischio per cui la crisi non ci verrà fatta pagare "solo" nelle classiche forme dei licenziamenti di massa e della cassa integrazione, ma che essa comporterà anche altri costi economici che andranno a tradursi in termini di privazione delle nostre libertà fondamentali, perché non da oggi, LA PAURA E LA SICUREZZA SONO BUSINESS ENORMI.

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