Archivio per la categoria Sorveglianza

Bisogna difendere la rete

Il copione che si sta recitando in questi giorni in merito alla rete è qualcosa di già visto negli ultimi mesi, la cui stesura è stata
meditata ed elaborata a lungo dopo diverse figuracce e fallimenti. Un copione gradito e recitato con uguale foga e passione da attori e comparse degli schieramenti di centro-destra e centro-sinistra.
La lente di ingrandimento mediatica che in un primo momento si era posata sulla possibilità di implementare non meglio precisati filtri nell’infrastruttura di rete italiana non focalizzava però il vero traguardo che si sta provando a tagliare in queste ore. È difficile dire se la nostrana morfologia di internet si presti effettivamente ad una perimetrazione, ad una blindatura à la Teheran. Probobilmente per motivi tecnici ed interessi economici stranieri in ballo (come il fatto che Fastweb sia di proprietà di SwissComm), un’opzione di questo tipo risulterebbe non immediatamente praticabile.
Ma soffermarsi esclusivamente su questo aspetto del problema vorrebbe dire imboccare una strada sbagliata.

Intanto perché l’informazione in rete può essere controllata a vari livelli geografici, e non solo tramite la censura ma ostacolandone la circolazione con misure amministrative o soffocando le notizie in assordante rumore di fondo, con l’intento di rendere difficoltosa quell’operazione di ricomposizione dei tasselli del mosaico che si chiama fare giornalismo.

Ci sembra allora ben più importante tratteggiare la china politico-culturale che sta assumendo questa vicenda.

In queste comiziali giornate vengono gettati in pasto agli elettori gustosi bocconi politici, capaci di soddisfare, con il loro retrogusto autoritario, anche gli appetiti più neri. La Russa gioca a fare il soldatino a salvaguardia della democrazia ponendone a presidio un recinto di limitazioni alla libertà di manifestare.  Nel frattempo si incendia il dibattito fra “liberalissime” compagini politiche su come difendere la libertà di espressione proponendo l’elaborazione e la promulgazione di nuove norme in grado di scalzare anche quelle che sono le già minime garanzie che tutelano la comunicazione in rete.
Con un colpo di scena dal sapore gesuitico, Maroni coglie due piccioni con una fava. Il ministro dopo aver fomentato un clima infuocato, additando a destra e a manca terroristi e fiancheggiatori e prefigurando scenari da guerra civile, trasforma la sua immagine in quella di pacificatore e garante. Riesumando dall’armadio il DDL D’Alia-Pecorella-Levi-Prodi che
equipara la stampa tradizionale al mondo on-line, mette la mordacchia a nodi scomodi d’informazione e voci non allineate, sotto la minaccia di pesanti sanzioni pecuniarie. Se ne rallegrerà certo Carlo De Benedetti, che dopo l’aspra diatriba con Google dei giorni passati forse avrà modo di riconquistare parte del mercato pubblicitario sul web a causa dello
sfoltirsi della concorrenza. Prosegui la lettura »

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Golia schiaccia Davide

Articolo realizzato in collaborazione con i/le compagn* dell’Opposizione Sociale di Ascoli Piceno

Capita certe volte anche per noi di Info Free Flow di abbandonare la
denuncia seriosa e indignata verso le mille
recinzioni di cui il potere ammanta la rete, e di lanciarci a testa
bassa in una bella flame war da trivio con l’impermeabile da maniaco rigorosamente aperto sul davanti ed il Caps Lock
accuratamente attivato.

Soprattutto quando il tempo sembra per incanto fermarsi, regalandoci un
tuffo nel passato non troppo remoto di quei casi di censura da manuale, in cui l’informazione non viene annullata nel rumore
di fondo nella rete ma additata dalla nostra pia

società di educande e bloccata alla sorgente dalle liste nere
(no, non stiamo parlando di quelle di Saya e di Fogna Nuova),
che per questa volta non tradurremo con l’inglese “blacklist” bensì,
recuperando le care tradizioni nazionali, con un più nostrano

Index Sitorum Prohibitorum.

Veniamo infatti a sapere da amici e complici sul posto (che tuffo nel
passato sarebbe senza  l’onnipresente/potente piovra hackerz in agguato?)
e dalla stampa locale dell’iniziativa del podestà di Ascoli Piceno Guido
Castelli detta “Famiglia Protetta“. In un periodo di drammatica
crisi produttiva e disoccupazione strisciante abbiamo subito pensato ad
un piano straordinario di sostegno ai nuclei familiari degli operai in
mobilità, magari da realizzarsi con l’imposizione di notevoli penali alle imprese
che delocalizzano senza mai aver investito in formazione ed innovazione
ed il recupero e l’autogestione da parte dei lavoratori delle fabbriche
dismesse…Ma che acarini sciocchini siamo stati, invece! Prosegui la lettura »

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Socializzazione della Finanza e Crisi Economica Globale – Intervento di Info Free Flow (seconda parte)

Dopo la bolla della
New Economy…

Al di là delle
motivazioni più squisitamente economiche dello scoppio della bolla
delle Dot Com nel 2000, c’è da riflettere sulla distanza
antropologica tra previsioni degli investitori e design
dell’architettura di rete degli anni ’90. In quel periodo erano
necessarie notevoli competenze specialistiche per usufruire di un
computer e per navigare in una rete che, sebbene in transizione verso
l’uso civile, aveva le sue radici ancora nei progetti dei
cybersoviet, compensando i prerequisiti tecnici richiesti a
chi vi si avvicinasse con un’elevata scalabilità ed orizzontalità.
L’infrastruttura di rete e la capacità di storaggio e trasmissione
dei dati non erano ancora così elaborate da facilitare la
partecipazione del grande pubblico ad un’economia di beni e servizi
immateriali come quella prospettata dalla retorica positivista dei
redattori di Wired. In altre parole, la bolla della New
Economy è stata dovuta ad errori di sopravvalutazione da parte del
mercato della assorbibilità dei servizi delle dot com, della loro
monetizzabilità e del livello di competenza dei loro utenti. Slogan
del tempo prospettavano: "arricchisciti in fretta" o
“costruiamole, poi arriveranno”, ma ciò si è dimostrato a lungo
termine insostenibile, davanti alla mancanza di un design in grado di
permettere agli investitori/utenti di orientarsi tra ed usufruire di
dispositivi in grado di offrire loro servizi e contemporaneamente
mettere a lavoro la propria esperienza. Il colpo alla FIRE economy a
fine anni ’90 deriva anche da un deficit di economia ICE
(intellectual, cultural, educational) che non poteva essere colmato,
a meno di non abbassarne l’asticella ad un target dotato di
competenze più generiche e dandogli modo di metterle a valore.

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L’ayatollah Maroni ed i cinesi del PD

Chi si nasconde dietro questa folta barba? E chi sono i figuri tutti uguali dietro di lui?

La notizia era nell’aria
già da qualche giorno, ma solo giovedì è esplosa tra roventi polemiche,
arrivando a toccare anche le inaccessibili vette del TG1 delle 20. Dopo
le frustrazioni del dirigente modenese del PD,
desolato dall’incapacità di una nomenklatura democratica politicamente
alla frutta, alla ribalta della cronaca è salito il “fu” gruppo di
facebook “Uccidiamo Berlusconi”, poi trasformato in un più tranquillizzante “Ora che abbiamo la tua attenzione rispondi alle nostre domande”.

Siamo
stati indecisi a lungo se prendere parola su questa vicenda che, nel
nostrano clamore che l’ha accompagnata, apparentemente è solo un
cartina al tornasole dell’incapacità trasversale alla classe politica
istituzionale di rapportarsi e leggere le tecnologie digitali, mentre
in realtà cela fra le pieghe alcune sottili dinamiche inscritte nel
frame mediale italiano.

Diversi elementi hanno comunque attirato
la nostra attenzione portandoci a delle riflessioni che ci sembra
importante condividere per dare un metro anche della direzione che potrebbe prendere la vita in rete nella penisola.

Ci sono due premesse che guidano tutto il nostro ragionamento.
La
prima è la focalizzazione della tragica situazione sociale ed
economica del paese che porta evidenti sul volto le ferite aperte della
crisi. Lungi
dall’essere ad un punto di svolta, un fatturato industriale in caduta
libera e
la drammatica realtà della cassa integrazione per un sempre maggior
numero di lavoratori, vanno aggiungendosi ad un crescente discredito
che classe politica italiana non sembra ormai in grado di
allontanare da sé.
La seconda è che la rete non è un media
(o comunque un canale neutro) ma un ambiente, contingente e dalle
caratteristiche mutevoli ed in evoluzione dinamica, organizzata su
rapporti di forza che derivano dalla costruzione del mezzo e
determinano il tipo di relazione, di prodotti, di creazioni che si
possono vivere e fare in questo o in quel network.
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Lavoro in rete e senza rete – Dialogo con Carlo Formenti – Prima parte

Come già abbiamo avuto modo di scrivere su queste pagine, se in Italia
(e non solo) esistono ancora voci capaci di trattare il fenomeno della
rete in maniera disincantata e non celebrativa ma al contempo
propositiva e non appesantita dai ceppi della tecnofobia più
reazionaria, una di esse è senz’altro quella di Carlo Formenti,
docente di teoria e tecnica dei nuovi media all’Università di Lecce,
collaboratore del Corriere della Sera, autore di testi importantissimi
per una lettura critica dei mutamenti economici, sociologici e politici
avvenuti a partire dall’emersione di internet come terreno di
produzione immateriale e conflitto, quali "Mercanti di Futuro"," Cybersoviet"e "Se Questa è Democrazia".

Abbiamo
avuto la possibilità di averlo con noi al seminario "Cyberpopulismi,
crisi dell’internet libertaria ed architetture di rete securitarie",
tenutosi lo scorso 20 maggio nell’ambito del ciclo di seminari Not [Net] Working – La Rete non è un Media
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, e
iniziamo con questo post la pubblicazione integrale del suo intervento.
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Not [net] working – Netwar – Watchfare

Quello che segue è parte di un più ampio lavoro a cui la crew di IFF sta lavorando.
Non è da considerarsi in nessun modo un documento esaustivo,
formalizzato o concluso. L’idea è di porne, di volta in volta, in
condivisone dei paragrafi su NoBlogs in modo tale che possano risultare
utili e propedeutici per coloro che vogliano partecipare alle giornate
di not[net]working che sono in corso. Condividere in questo habitat tale "nostra
produzione" è dettato non in ultimo dalla speranza che essa possa
essere oggetto di una fruttuosa critica, e perché no, di una revisione
collettiva capace di farla progredire ed evolvere da quelli che sono i
suoi punti deboli sul piano teorico.
Avremmo voluto aspettare ancora qualche tempo per pubblicarlo ma l’odierna notizia apparsa su punto informatico, relativa alla  legge 23 aprile 2009, n. 38, denominata "Piano straordinario di controllo del territorio", ci pone la necessità e l’urgenza di condividere e mettere a dibattito la nostra analisi sulla formazione dello "stato sociale del controllo" come ristrutturazione capitalista davanti alla crisi finanziaria attuale.

Buona lettura.


Nell’ultima decade abbiamo assistito al declino di una tipologia di laissez-faire post-moderna – incentrata sull’appropriazione e messa al lavoro indiscriminata delle informazioni, ed al parallelo rafforzarsi di una tipologia di keynesismo anch’essa post-moderna, quella della spesa pubblica in sorveglianza, che chiameremo del "watchfare".

Il watchfare comprende tutti gli investimenti effettuati sia in dispositivi e strutture fino ad allora destinati ai fini del semplice controllo sociale come telecamere, biometria, intercettazioni, vigilanza pubblica e privata, polizia ed esercito, intelligence, cpt, manicomi, carceri, comunità di recupero (ma anche, e in maniera cruciale, istituti statistici, ispettorati del lavoro, polizia fiscale, controlli sanitari, istituti di certificazione) che in altri di più recente comparsa riservati all’interazione sociale, come social network, chip RFID caricati ad esempio di informazioni genetiche e mediche, documenti digitali e smart card, dispositivi di tracciamento incorporati in telefonini, smartphone ed altri gadget.
L’incontro tra strutture di controllo sociale e di interazione sociale è tangibile in diverse comunità micro e macropolitiche: da un lato le "gated communities" a cui fanno riferimento autori come Baumann, dall’altro di volta in volta il confine USA-Messico, il muro d’Israele, la Fortezza Europa.

Così come il keynesismo elabora lo stato sociale in risposta alla catastrofe operativa del primo laissez-faire – per domare ed imbrigliare il flusso selvaggio del capitale ormai incontrollabile – e riaffermare allo stesso tempo l’autorità statale da esso messa in discussione ai tempi della belle époque 1870-1914 e della prima globalizzazione, il watchfare assolve principalmente a due compiti: il primo di essi è riportare sotto controllo politico il flusso di informazioni, "ridistribuendolo" con gli strumenti di watchfare – come il welfare keynesiano faceva con il capitale – tra i soggetti della comunità (locale, nazionale, interstatale). Questo per spalmare il rischio delle operazioni finanziarie a cui il flusso informativo dà vita – destabilizzante per la coesione sociale – fino a livelli tollerabili.
Il secondo è quello di rispondere preventivamente alle crisi di sovrapproduzione contemporanee in base a diverse strategie, dalla legittimazione di processi di creazione di scarsità artificiale, fino a strumenti di contingentamento come le quote latte ed a investimenti nella stessa industria della sicurezza. Prosegui la lettura »

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