E noi che ci preoccupavamo della scelta di Giampiero D’Alia come ministro della Pubblica Amministrazione! L’ex UDC, eletto a febbraio in quota Scelta Civica, è noto infatti unicamente per essere stato autore nel 2009 di un decreto legge, ribattezzato a furor di rete “ammazza-web”, degno della migliore tradizione giuridica nordcoreana.
Noi, che nei giorni scorsi ci allarmavamo del fatto che nel governo Letta non vi fosse alcun ministero delle telecomunicazioni! Un segnale politico chiaro, facile da interpretare e non solo rispetto alla questione del conflitto d’interessi: per quel che riguarda televisione, internet, mobile e frequenze radio per le New Generation Network il mercato e la relativa regolamentazione restano così come sono. Cristallizzate in un termidoro confinato ai primi anni del 2000.
Che sciocchi, ingenui, creduloni siamo stati! Il pericolo era molto più vicino ed aveva le fattezze serafiche del “rinnovamento”.
Poco più di un mese fa molti avevano salutato con entusiasmo la nomina di Laura Boldrini a terza carica dello Stato. Ma chi aveva ciancicato di “un forte segnale di cambiamento” dovrà rimangiarsi tutto, lingua compresa. L’imbarazzante intervista rilasciata ieri dalla Presidentessa della Camera a Concita De Gregorio per il quotidiano la Repubblica non lascia spazio ad equivoci: in quanto a diritti digitali e conoscenza del web, l’onorevole Boldrini è in tutto e per tutto espressione e continuità della classe politica degli ultimi 15 anni. Semplicemente non ne sa nulla.
La candida Laura cade dalle nuvole e si accorge di punto in bianco che «se il web è vita reale, e lo è, se produce effetti reali, e li produce, allora non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in rete rispetto quel che accade in strada». Edificante considerazione. Sopratutto se vista nella prospettiva dell’ultima tornata elettorale. Magari PD e SEL avrebbero dovuto pensarci qualche annetto fa mentre Grillo si apprestava a diventare il secondo partito in Italia, fidelizzando una fetta crescente di elettorato che compie scelte e forma la propria opinione attraverso i media digitali.
«Mi domando» prosegue utilizzando argomentazioni non dissimili da quelle a cui ricorreva D’Alia quando sosteneva la necessità di introdurre misure legislative che equiparassero social media e quotidiani «se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta su un muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web». Qualora disgraziatamente l’equazione risultasse verificata sarebbe lecito invocare l’applicazione di leggi speciali contro muratori ed impresari edili, data l’enorme quantità di scritte naziste e sessiste che deturpano i palazzi italiani.
I dubbi non finiscono qua però: «Credo che dobbiamo tutti fermarci per un momento e domandarci […] se vogliamo cominciare a pensare alla rete come un luogo reale, dove persone reali, spendono parole reali, esattamente come altrove». Ottima domanda, ma anche questa fuori tempo massimo. Se la classe politica del Paese, invece che rinchiudersi negli studi dei talk show televisivi e fare orecchie da mercante, avesse prestato ascolto alla coda lunga di conversazioni sviluppatesi sui social media in Italia negli ultimi anni, si sarebbe resa conto di come queste trabocchino quotidianamente d’odio e risentimento nei suoi confronti. E forse non sarebbe rimasta così sconcertata nello scoprire che la gente è stufa di suicidarsi e che il volto del tanto evocato paese reale è quello immortalato dai fotogrammi che ritraggono Luigi Preiti, schiacciato dagli anfibi dei carabinieri, dopo aver sparato contro Palazzo Chigi.
«Vogliamo dare battaglia – una battaglia culturale – alle aggressioni alle donne a sfondo sessuale?» chiosa l’ex portavoce dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati. Bene, benissimo diciamo noi, consapevoli del fatto che già da decenni ci sono donne, compagne ed interi collettivi mobilitati su questo fronte, che questa battaglia l’affrontano nel fare quotidiano. E che la piaga sociale del femminicidio è un problema un tantinello più complesso di un fotomontaggio misogino ed orribile postato su Facebook. A dimostrarlo c’è la nomina, fresca fresca, di un’integralista cattolica omofoba come Michaela Biancofiore a segretario per le Pari Opportunità. Se la Boldrini vuole rimboccarsi le maniche può cominciare da li, dalle stanzette del ministero, invece che prendersela con il mostro venuto dalla pancia di Internetz.
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