Sono le prime luci dell’alba quando i lampi dei fuochi d’artificio squarciano il cielo terso delle Alpi Cozie. È il segnale che da settimane tutti attendevano. I mostri meccanici ed i legionari inviati dal ministro Maroni stanno entrando in azione. La popolazione locale, messa in stato d’allerta, sale sulle barricate. Freelance, inviati, hacktivisti, cameraman, redazioni di quotidiani, portali d’informazione, radio e televisioni si preparano ai posti di combattimento.
Comincia così la battaglia del 27 giugno contro l’apertura del cantiere per l’alta velocità. Il terreno di scontro non è solo quello che si inerpica ripido fra i vigneti ed i boschi della Maddalena di Chiomonte. È anche quello scosceso ed impervio della comunicazione.
In prima linea tra i lacrimogeni, come mai era successo in precedenza, smartphone, telecamere, pagine Facebook ed account Twitter. Ma anche SMS, telefonate e libere frequenze radiofoniche fanno il loro sporco lavoro nel documentare in tempo reale quanto accade sui prati della Libera Repubblica della Maddalena.
Un alveo di servizi internet “2.0” comincia a raccontare, con fotografie, filmati ed articoli, l’assedio delle forze dell’ordine alla popolazione della Val Susa. Catalizzano l’indignazione vibrante, che si leva dal Piemonte fino a Palermo, per quanto sta accadendo in valle: indignazione a cui nessuno che attraversi le piazze della rete lunedì mattina può rimanere immune, favorevole o contrario che sia alla TAV. I social network diventano anche strumenti collaborativi. Le segnalazioni, provenienti da diversi account twitter, rendono più semplice la mappatura delle iniziative di solidarietà che come funghi spuntano nelle città italiane.
Accanto agli ultimi ritrovati dell’industria high tech ci sono gli hacker (nel senso più puro che indica il termine) che nelle settimane passate si sono inventati l’infrastruttura della Libera Radio della Maddalena. Una radio pirata che fino all’ultimo, a cento metri dalle guardie, contagia l’etere con le sue trasmissioni.
Intanto, grazie ad un infaticabile lavoro di redazione, Radio Black Out, diventa uno dei propulsori centrali dell’onda virale che dilaga nell’infosfera italiana. Con una diretta non-stop di 12 ore, fra un pezzo rap del Signor K ed un canto popolare partigiano, da notizia del succedersi concitato degli eventi. Le libere frequenze FM dei 105.250, sono veicolo prezioso di testimonianze dirette, aggiornamenti ed informazioni per i manifestanti sul campo (grazie alle telefonate ed agli SMS ricevuti). Nell’etere ma anche in rete. Lo streaming di Black Out (prontamente sostenuto da altri mirror che hanno danno il loro appoggio quando la banda del sito si avvicina pericolosamente alla saturazione) è continuamente riverberato da migliaia di messaggi in 140 caratteri e post su Facebook, che ne ampliano la portata, il raggio d’azione e la potenza comunicativa.
Alla battaglia partecipano anche le altre radio di movimento (come Radio Onda Rossa e Radio Onda d’Urto) che per tutta la mattinata mettono a disposizione dell’emittente torinese le loro frequenze ed i loro network.
Una amalgama di saperi, strumenti di comunicazione, intelligenze, esplosiva. E infatti il giorno dopo, puntuali come la morte, arrivano i tentativi di censura messi in atto dal governo con l’accondiscendenza della multinazionale di Marck Zuckenberg. Alla camera le chiacchiere di Agostino Ghiglia, deputato del PDL, sulla «propaganda sovversiva» non possono però cancellare ciò che è ormai da mesi sotto gli occhi di tutti. Ovvero che, come abbiamo già scritto altrove, i movimenti, quando mettono le mani sulla rete e la trasformano in luogo e strumento di conflitto, fanno paura.
Uno scontro tra network
Qualcuno ha parlato della Valsusa come di un possibile Vietnam dei media tradizionali. L’affermazione formulata in questi termini non convince, tanto più se con media tradizionali si intendono i media non digitali. Semmai ci sembra corretto affermare che, una volta di più, abbiamo assistito ad un livello di commistione di diversi strumenti. Semplicemente la reciprocità tra un general intellect diffuso ed un livello di organizzazione militante, ci sta permettendo di scoprire, giorno dopo giorno, le nuove potenzialità del virtuoso e potente circolo comunicativo prodotto dall’integrazione tra diversi media.
E ancora di più, affermare che quotidiani e televisioni si trovino di fronte ad un bivio, dove la scelta da compiere è tra «rimanere legati al vecchio modello» organizzativo o «dare anche loro un’informazione senza filtro, senza censura» vuol dire non cogliere minimamente il vero significato politico della battaglia comunicativa svoltasi lunedì e tutt’ora in corso.
Primo perché è da quando avevamo i calzoni corti che abbiamo smesso di credere alla bagatella dell’informazione corretta ed imparziale. Secondo, quando CNN, Al Jazeera, Fox News o qualsiasi altro potentato dell’informazione decide di contaminarsi con i social media, lo fa perché in essi intravede una ghiotta e comoda risorsa a cui attingere. Non certo per amore dell’equanimità.
La vera cifra comunicativa della battaglia della Maddalena è dunque ben altra.
Essa ha rappresentato uno scontro tra network e media di parte. Ed evoca un’immagine potente. Le migliaia di retweet dall’hashtag #notav (balzato sulla vetta del trending topic in poche ore), il subvertising dei manifesti del PD o le desertiche pagine Facebook dei gruppi favorevoli alla TAV, sono uno spaccato che mette in luce il solco sempre più netto ed incolmabile che divide due mondi. Una metafora della separazione tra partiti e cittadini. Mentre cadevano le barricate di Chiomonte, ne venivano erette di altre, mediali, contro un blocco mediatico che ha provato a dipingere il movimento come un nugolo di teppaglia. Contro chi è sempre pronto a brandire la paccottiglia del peggior clicktivism – facendo firmare petizioni on-line che verranno dimenticate fra i byte di qualche vecchio hard disk o siglando liste di domande che rimarranno inesorabilmente senza risposta – salvo poi neutralizzare o criminalizzare a tambur battente l’attivismo reale, fuori o dentro la rete. Contro i megafoni di Fassino, Bersani, Maroni e di un governo che assedia la sua popolazione per spartirsi con i suoi amici affaristi una torta da 15 miliardi di euro. Sulla nostra pelle. E voi zitti.
Ma l’insorgenza comunicativa verificatasi durante il primo round di questa settimana ha un altro pregio ancora. Ci ha ricordato che i social network, ben prima di essere righe di codice situate su qualche server statunitense, sono reti sociali preesistenti che attraversano tutti i luoghi della nostra quotidianità. Già fra i bagliori delle diecimila fiaccole che hanno illuminato il presidio di domenica sera si poteva scorgere l’incendio che la mattina successiva avrebbe attraversato la rete. Il divampare del fuoco di informazioni a cui abbiamo assistito, è emblematico di quanto sia sentito e condiviso il valore della lotta del movimento No Tav nei territori e nel senso comune del Paese. Ne sono state riprova la partecipatissima assemblea a Bussoleno di lunedì sera, la fiaccolata a Susa martedì, le decine di iniziative di solidarietà svoltesi in tutta la penisola e la miriade di pullman che si stanno organizzando su Facebook.
Giorno dell’evento: 3 luglio. Luogo: Val Susa libera.
Così come in Val Susa, anche sul web la battaglia è appena cominciata.
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