Archivio per la categoria Sorveglianza

Yes we (s)can! (and not from today..)

Datagate: PRISM è uno scandalo? Forse. O forse no. Perché nell’economia digitale la violazione della privacy è la norma e non l’eccezione.

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Uno dei mali più diffusi e connaturati all’esplosione dei social media nei flussi di comunicazione globale è il “recentismo“. Con questo termine si indica un processo di formazione della conoscenza privo di una prospettiva storica di lungo termine o fortemente influenzato da una recente ondata di attenzione provocata dai media. Il contagio è virale e curiosamente ne sono affetti in egual misura tanto quelli che tessono le lodi della rete come tecnologia intrinsecamente democratica quanto coloro che non perdono occasione per gridare al totalitarismo della “dataveglianza”. Caso da manuale di questa sindrome è il dibattito recentemente innescatosi a ridosso dello scandalo PRISM, già soprannominato “datagate”. Vediamo perché.

Innanzi tutto dell’esistenza di Echelon (invasivo network di sorveglianza globale, progenitore di quello odierno) si sa da almeno 15 anni. I suoi albori risalgono al secondo dopoguerra quando gli Stati Uniti ne progettarono lo sviluppo, coadiuvati da Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda. Prosegui la lettura »

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Il declino dello smart /soft power della Casa Bianca: quando a crollare è l’ideologia liberale della rete.

Relazione meeting “Contropotere nella crisi” Bologna 13 – 14 Ottobre

Abbiamo costruito questa relazione con l’intento di socializzare in un ambito il più possibile allargato una serie di indicazioni di orientamento politico-culturale arrivateci dagli ultimi due anni di mobilitazioni globali.

La rivoluzione tunisina, quella egiziana, il movimento #15M ed anche quello NoTav hanno messo al centro di un mondo in crisi l’attualità della rivoluzione, delle sue pratiche ma anche delle sue parole. In questo senso hanno anche ribadito la centralità di saper agire la dimensione comunicativa nei conflitti odierni, individuando in essa, ed in particolar modo nella rete (ma non solo), un campo di battaglia dove colpire per disarticolare quelle tecnologie politiche, quelle narrazioni e quei dispositivi retorici che legittimano le politiche di austerità e che, per utilizzare una metafora, sono le piattaforme, le rampe di lancio da cui partono le operazioni di aggressione neoliberista ai territori.

Social media, ambienti di comunicazione elettronica e piattaforme globali di comunicazione hanno messo a nudo tutta la loro ambivalenza, provocando così una torsione dell’immaginario: non solo formidabili dispositivi di cattura della cooperazione sociale e del valore prodotto in rete – grazie ai quali il tempo di lavoro si dilata fino a sovrapporsi perfettamente con il tempo della vita – ma anche luoghi dove sono andati dispiegandosi una pluralità di processi di soggettivazione ed organizzazione dei movimenti globali. Nessun medium ovviamente è sufficiente tout court alla complessità di un processo di organizzazione rivoluzionaria ma allo stesso tempo non esiste organizzazione senza identità, e non esiste identità senza processi di comunicazione, rappresentazioni condivise ed un accumulo di memoria storica delle lotte. Prosegui la lettura »

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Intercettazioni cilene. Nuovi retroscena sul “caso Bombas”

Altro che bombas. L’inchiesta che ha portato in carcere 14 anarchici cileni si sta dimostrando un caso di sorveglianza digitale pervasiva. A denunciarlo una mail anonima inviata al portale Cryptome.org.

 

altSono allarmanti le rivelazioni apparse pochi giorni fa sul portale Cryptome.org. Il sito, che da ormai diversi anni divulga documenti riservati, ha pubblicato una mail – mittente anonimo e titolo sibilino: “Comments from Chile” – dove emerge l’ampio ricorso a metodologie e tecniche pervasive di sorveglianza digitale adottate dalle forze dell’ordine di Santiago. A farne le spese sono stati alcuni collettivi anarchici locali, coinvolti strumentalmente in un’inchiesta durata quattro anni che ha toccato più di duecento persone ed alcuni paesi stranieri (Italia compresa).

Il “caso Bombas”

La vicenda in questione è quella salita agli altari della cronaca sotto il nome di “Caso Bombas”. Si tratta di un’indagine della polizia cilena in merito ad una serie di esplosioni verificatesi a Santiago a partire dal 2005. A finire nel mirino sono stati alcune decine di “okupa” cileni, colpiti il 14 agosto 2010 da gravi provvedimenti restrittivi che hanno portato all’arresto di quattordici persone. Nove rimarranno in carcere per quasi due anni con accuse pesantissime sulle spalle: prima fra tutte quella di associazione illecita con finalità di terrorismo. Prosegui la lettura »

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Pronto? Skype ti ascolta

Avviso ai naviganti. La privacy su Skype fa acqua da tutte le parti. Ed il mito della sua impenetrabilità cola a picco. È tempo di abbandonare la nave?

Una settimana nell’occhio del ciclone per la l’azienda produttrice del software di telefonia VOIP (Voice over IP) più popolare al mondo. Skype, acquistata poco più di un anno fa da Microsoft per la cifra da capogiro di 8,5 miliardi di dollari, è finita al centro delle polemiche per aver siglato dei nuovi protocolli di collaborazione con le autorità di polizia statunitensi. Grazie al suo ausilio tecnico, l’FBI ed altre agenzie di intelligence si troverebbero ora nelle condizioni di entrare facilmente in possesso dei dati personali e delle conversazioni degli utenti. È quanto sostenuto da un articolo apparso sul Washignton Post pochi giorni fa.

Dubbi, segreti e bug nel codice

Quella del quotidiano statunitense è una notevole stoccata al mito dell’impenetrabilità di Skype. L’ennesima a dire la verità. Nata nel 2003, acquistata da Ebay nel 2005 e passata poi sotto l’ombrello di casa Redmon nel 2011, Skype era originariamente basata su un’efficace combinazione di crittografia forte e di un’architettura P2P decentralizzata. Fatto che rendeva l’intercettazione delle chiamate internet e delle sessioni di chat da parte delle autorità quantomeno complessa. Ma certo, non impossibile. Prosegui la lettura »

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L’occhio elettronico di Washington sul movimento No War

Washington sorvegliava in modo esteso il movimento No War italiano nel 2003. È quanto emerge da due cable pubblicati da Wikileaks in questi giorni.

Tempismo perfetto. Quello a cui Wikileaks, nel bene e nel male, ci ha abituato negli ultimi mesi. A pochi giorni dalla sentenza della Corte di Cassazione sui fatti del G8 di Genova, che ha confermato in via definitiva le condanne per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio, l’organizzazione che fa capo a Julian Assange gioca le sue carte anche in questa partita, proprio quando i protagonisti di quella fase politica (definita impropriamente dal mainstream con l’abusatissima etichetta “no global”) tornano sotto la luce dei riflettori.

Due nuovi cable, inviati nel febbraio 2003 dall’ambasciata di Roma agli uffici del dipartimento di Stato, rivelano come Washington avesse messo sotto stretta ed estesa sorveglianza le comunicazioni di alcune delle realtà politiche animatrici della prima ondata del movimento No War. A turbare il sonno dell’ambasciatore Spogli e dei vertici dell’amministrazione Bush erano sopratutto le iniziative di trainstopping: azioni dirette di massa, praticate dal movimento con l’intento di fermare i “treni della morte”: quei convogli speciali che trasportavano materiale logistico ed equipaggiamento bellico statunitense destinato al teatro di guerra iracheno. Meno preoccupante veniva invece considerata l’opposizione dei sindacati confederali («abbaiano ma non mordono»), bollata come «simbolica e minimale». Prosegui la lettura »

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Sceriffi della rete e cyber-ronde

In attesa del parere della Commissione Europea e della World Intellectual Property Organization (WIPO) sulla tanto discussa delibera AGCOM, in questi giorni è stata presentata in parlamento, da 19 deputati del Pdl tra cui Elena Centemero e Santo Versace , una proposta di legge “in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione e per il contrasto delle violazioni dei diritti di proprietà industriale operate mediante la rete interne”. Un disegno di legge identico a quello presentato in estate dal leghista Fava (alla faccia del diritto d’autore!).

Si tratta di 2 articoli che vanno a modificare rispettivamente gli art. 16 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni – hosting) e 17 (Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza) del decreto legislativo n. 70 del 2003.

Nella prima parte si obbligano i provider a rimuovere e disabilitare l’accesso a risorse che violano il copyright o che promuovo il commercio di marchi contraffatti, ma a differenza della normativa odierna a poter “avvertire” il provider non sarà soltanto l’autorità competente ma “qualunque soggetto interessato ”. Utenti propensi alla censura che si trasformano in cyber-ronde al servizio del diritto d’autore. Tutto questo senza passare attraverso l’autorità giudiziaria e senza, di fatto, la necessità, né la possibilità, di controllare l’effettiva natura delle accuse prima di proseguire con la cancellazione, la disabilitazione o il blocco dell’accesso. Prosegui la lettura »

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