Archivio per la categoria Social network

Ritorno dalla frontiera – Prima parte

1885. Diversi anni sono passati dall’esaurimento degli ultimi bagliori nei setacci dei cercatori d’oro californiani, sostituiti dalle scintille dei mezzi meccanizzati della grande industria mineraria. E’ in quest’anno che Leland Stanford – ex-governatore della California e magnate delle ferrovie su cui tanti partecipanti alla grande corsa all’oro avevano viaggiato verso l’ultima frontiera – fonda l’omonima università a sud di San Francisco, in quella che più avanti prenderà il nome di Silicon Valley. 115 anni dopo, proprio da quella stessa università sembra essere partita una nuova corsa all’oro di direzione speculare alla precedente: popolata da attori che, ricchi di reputazione ed informazioni, ma affamati di asset e capitali, tornano dalla frontiera a colonizzare il mondo dell’economia reale come di quella finanziaria, puntando verso là dove tutto è iniziato: la East Coast, New York, Wall Street.

Un mito, quello della frontiera americana, che negli anni ’90 si rinnova con l’internet di massa e la new economy: si è scritto di come nell’immaginario statunitense alla lotta contro la wilderness, “la barbarie della natura e dei popoli”, subentri l’ideologia californiana e la sua promessa della salvezza attraverso la tecnologia. Quella che nello storico documento di Barbrook e Cameron procede attraverso l’alleanza tra hippies e yuppies, le classi sociali cruciali nell’emersione del paradigma dell’economia in rete e a rete, della finanziarizzazione e della conoscenza, unite dal collante del capitale di ventura. Ed un ritorno che parte dalle innovazioni introdotte nel cammino verso quella frontiera e dalle nuove energie che hanno il compito di sostenerne il paradigma produttivo: dove c’erano le ferrovie ora scorrono i cavi delle broadband, ed il petrolio di Rockefeller cede il passo alle energie verdi. Prosegui la lettura »

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The Battleground

John Perry Barlow ha affermato che Wikileaks è stato il primo campo di battaglia della grande infoguerra mentre le rivoluzioni arabe sono il secondo. E che soprattutto molti altri ancora ne verranno.

140 suggestivi caratteri da cui partire. Un trampolino di lancio per una profonda esplorazione che negli anni a venire riempirà scaffali di intere biblioteche e gigabyte di archivi digitali.

A partire dall’esplosione del Cablegate del dicembre 2010 fino alle rivolte che stanno attualmente infiammando il Nord Africa, hanno cominciato a prodursi all’interno del sistema informativo globale fratture che sembrano ormai insanabili.

Dal punto di vista del ruolo di Internet esse producono un prisma analitico i cui cristalli irradiano sfumature cromatiche ancora indefinite ma sulle cui punte già si legge chiaramente la sconfitta di tante impostazioni ideologiche e credenze relative alla rete. E allo stesso tempo esse rappresentano una prima cartina al tornasole sugli orizzonti delle forme di militanza locale e globale on-line.

Oltre a causare uno sconquasso geopolitico che sta rapidamente mutando il volto delle relazioni internazionali, l’esplosione delle rivolte sociali sulle coste del Mediterraneo ha visto un ruolo significativo della rete all’interno dei processi rivoluzionari dispiegatisi nell’area. Nelle fasi insurrezionali e post-insurrezionali magrebine, Internet è emersa sia come dispositivo con cui lanciare l’attacco al potere costituito sia come strumento importante nella possibilità di costruzione di una società altra.

Ma per quanto ci riguarda è chiaro che questi fenomeni non possono e non devono essere guardati attraverso la rudimentale, puerile e spesso strumentale apologia che individua nei social media il carburante quando non addirittura (!!) la causa scatenante delle rivolte. Ci interessa invece, una volta di più, coglierne l’affascinante ambivalenza situata all’incrocio tra potenza e limiti della rete, dove in pochi click gli switch sociali instradano il flusso delle informazioni da un network all’altro. Prosegui la lettura »

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We are anonymous!

Uno degli attori che è definitivamente emerso da questi due mesi di conflittualità diffusa in rete a cavallo tra la vicenda Wikileaks e le insurrezioni sulle coste del mediterraneo è senza ombra di dubbio Anonymous. Sono tanti i segni che lo indicano: per l’hashtag #anonymous, Twitter, il termometro della rete, segna sempre temperature altissime. Per il Guardian on-line Anonymous è diventato una categoria del settore tecnologia. I suoi nemici hanno predisposto una serie di contromisure per prevenirne le azioni: Microsoft ha inserito LOIC – il software utilizzato da migliaia di utenti per effettuare gli attacchi di DDOS (Distribuited Denial Of Service) contro una pluralità di obbiettivi – nella sua lista di virus, l’FBI ha stilato 40 mandati di perquisizione per riuscire a dare un volto ai senzavolto e le polizie europee hanno arrestato qualche sedicenne da esibire come trofeo asserendo: «È lui la mente». Prosegui la lettura »

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#SidiBouzid vs Ammar404: censorship #fail !

Non conosce soste la guerra che in queste ore si sta combattendo senza esclusione di colpi sugli stream dei network globali e nord africani. Uno scenario convulso, terribile ed allo stesso tempo affascinante  che mette a nudo come le suggestioni cyberpunk dei romanzi di William Gibson, non siano più semplicmente una categoria letteraria, frutto di una mente geniale nella sua capacità di scrutare fra le pieghe di un futuro di la a venire, ma entrino a pieno titolo nella declinazione odierna e presente delle categorie del conflitto.

Sullo scacchiere tunisino si stanno muovendo in queste ore diversi giocatori che, studiandosi a vicenda, provano a chiudere la partita. Obbiettivo: il controllo della rete di comunicazione internet tunisina e la narrazione di fronte al mondo della sanguinosa rivolta che da ormai 10 giorni infiamma lo stato nord africano e ne fa tremare i vertici del regime.

Il sistema di censura Ammar404 (soprannominato come l’ex-ministro dell’interno responsabile della preparazione del Summit sulla Società dell’Informazione tunisino del 2005) che, ormai è evidente, era stato predisposto con cura già da diversi mesi dalle autorità di Tunisi per tenere sotto controllo una popolazione sempre maggiormente informatizzata, sembra però avere grosse difficoltà a contenere effettivamente il flusso di comunicazioni che poco alla volta sta travolgendo le barriere appositamente poste a recinto dell’infosfera tunisina. Ma andiamo con ordine. Prosegui la lettura »

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La polizia ci spia su Facebook? Tanto stupore per nulla

Stupirsi del fatto che la polizia usi Facebook per spiare la attività degli utenti in rete, è un po’ come stupirsi del fatto che all’ombra dei palazzi romani e delle emittenti televisive milanesi, gli esponenti del potere si dilettino a fare “bunga bunga” con giovani donzelle più o meno compiacenti. Solo i giornalisti del gruppo editoriale “L’Espresso” possono pensare che una notizia di questo genere abbia rilevanza o presenti davvero il benché minimo carattere di novità.

Minchia commissà! Ci stanno spiando su Feisbuc!

L’articolo firmato da Giorgio Florian (“La polizia ci spia su Facebook”) che tanto clamore ha destato negli ultimi due giorni, a nostro modo di vedere, è attraversata da una linea narrativa di una banalità disarmante, in cui la storiella dell’orso viene venduta come la rivelazione dell’anno.

Provando anche a dare una lettura della smentita a tempo record della polizia postale, fatta a mezzo ANSA alle ore 16.30 di giovedì, vediamo quali possono essere i piani su cui la questione va affrontata.

Il primo è quello più ovvio che, dal basso della nostra esperienza militante, abbiamo già abbondantemente sedimentato nel bagaglio delle conoscenze quotidiane e sperimentato sulla nostra pelle. L’abuso degli strumenti digitali nelle indagini di polizia è qualcosa che nasce con il cellulare, ma che ha probabilmente origini molto più antiche ed analogiche. È semplicemente ovvio che la polizia nella sua opera costante di sorveglianza sui soggetti “devianti” abbia la possibilità di fare (e faccia effettivamente) largo uso di intercettazioni (telefoniche, ambientali ed informatiche) non autorizzate in alcun modo dalla magistratura. Chiedetelo a qualsiasi avvocato un pò scafato e ve lo confermerà senza troppe remore. Se fate caso alle parole di Antonio Apruzzese, direttore centrale della polizia postale, noterete che il fatto in se non viene assolutamente negato. Semplicemente si attesta che i cybercop – bontà loro – si muovono «sempre con l’autorizzazione della magistratura. Anche perché nel caso contrario tutto ciò che si fa non avrebbe alcun valore processuale». Il che però non significa che intercettazioni prive di valore probatorio in un’aula di tribunale (ovvero non utilizzabili nella formazione della prova) non possano essere fruttuosamente impiegate in attività di “prevenzione” e repressione. Prosegui la lettura »

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Mani tese e pugni chiusi

Sabato 11 settembre “Il Resto del Carlino” ha aperto l’edizione locale con l’ennesimo scoop sensazionalistico della campagna “Diamoci una mano” sull’emergenza writing. A dire la verità il concetto di scoop ha una connotazione eccessivamente meritoria: “squallido” e “servizietto” sono due termini che forse meglio si prestano per definire le paginette vergate dalla “Torquemada de noantri” Federica Andolfi.

Il succo della notizia è questo: un cavaliere della rete solitario (ovvero senza amici) che per comodità chiameremo “Federica Andolfi”, avrebbe deciso di dare un senso alle sue grigie giornate (e sopratutto bianche nottate), ricostruendo l’identità anagrafica di alcuni writer attivi sul territorio bolognese. Tali informazioni sarebbero state impacchettate in un dossier di 250 «elementi probanti in formato jpeg» (cioè 250 immagini scaricate da Facebook, Flickr e Myspace), consegnato in questura dall’ex forzanovista Daniele Corticelli, capobastone della temibile organizzazione “Bologna Capitale”. Giunto in piazza Galilei sbracciando pur di dare al suo oscuro partituncolo 20 righe di notorietà, davanti ai flash dei fotografi (l’unico presente era quello della solita Federica Andolfi) ha dichiarato con sfumati toni politologici: «Mo ‘sti cornuti li teniamo ben per le palle. Noi cittadini di etnia bolognese vogliamo il sangue. Ora la polizia sa chi sono e deve picchiare duro». E poi, a degno coronamento del suo inappuntabile ragionamento, si è asciugato la bava alla bocca ed ha fatto un bel rutto soddisfatto.

In attesa che il meritato Pulitzer venga attribuito a Federica non sembra una cattiva idea quella di mettere i puntini sulle i, e chetare i bollenti spiriti del popolino. Prosegui la lettura »

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