Twitter come Wall Street


La crisi è arrivata anche su twitter

Sono circa le 19.30 nell’Aula Poeti di Scienze Politiche a Bologna. Saskia Sassen si sta apprestando ad ultimare la sua relazione sulle “Sfide globali nella città” quando Qwit (il client open source che solitamente usiamo per comunicare a colpi di 140 caratteri con altri
fringuelli sparsi per Bologna, Italia e resto del globo) cinguetta la seguente notizia:

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Incuriositi cominciamo a spulciare il nostro profilo e quello di altri amici che seguiamo: tutti i legami che abbiamo instaurato sembrano essere improvvisamente tabula rasa, spazzati via da un disturbo nella forza che pazientemente regola la vita in rete.
L’insieme di relazioni creato e mappato all’interno del network di twitter è completamente azzerato.
I media tradizionali approntano alla bell e meglio un neologismo (Twitpocalypse) da far circolare nelle nuvole della rete diventate improvvisamente minacciose e gonfie di pioggia.
La coda lunga prende la forma del panico.

Qualcuno può leggermi ?

Non ci vuole molto ad immaginare che cosa succede in quegli attimi. I proverbiali istanti di silenzio prima della tempesta vengono spezzati dal librarsi in volo di una quantità impressionante di messaggi che fra il preoccupato ed il sarcastico commentano il fatto. L’improvviso “lunedì nero” di twitter non risparmia proprio nessuno: ne gli info-proletari che strangolati dal lavoro precario possono usare solo le ore notturne per coltivare amicizie ed aggiungere contatti alle loro liste, ne le star, le istituzioni e gli uomini politici che sulle
relazioni a forma di rete ormai sempre più costruiscono icone televisive, messaggi pubblicitari e rappresentazioni di potere. C’è da chiedersi se alla Casa Bianca dopo l’ultimo hack ai danni del profilo del presidente Barack Obama non abbiano preferito alzare la cornetta per chiedere ragguagli: probabilmente mandare un’ e-mail sarebbe stato ritenuto poco sicuro.

Incredulità, sgomento, cospirazionismo ed improbabili SOS compongono un mash-up singolare. A crisi mistiche e proclamate volontà di suicidare il proprio avatar fanno seguito i richiami tranquillizzanti di alcuni dei twitters più autorevoli del network. Mashable, un influente social media (anche se il suo taglio per un target di techno-fan lo rende una
lettura abbastanza noiosa) riprende la comunicazione data dalla società di Biz Stones: si afferma che il down (anche se non si è trattato di un vero down dato che l’infrastruttura di microblogging ha effettivamente continuato a funzionare permettendo lo scambio di comunicazioni) è stato conseguenza un bug che permetteva a chiunque di decidere chi aggiungere alla propria lista di followers semplicemente digitando “accept nomedelfollower“. Per ovviare a questo problema è stato necessario azzerare la lista delle relazioni di ogni singolo utente.

Dopo circa un’ora la situazione ritorna alla normalità: alla nevrosi di massa si sostituisce un’euforia ingiustificata. C’è chi si felicita di aver navigato questo momento storico (un impagabile storiella da raccontare a nipotini distratti mentre con l’Iphone  manovrano il loro Parrot nuovo di zecca) e c’è chi si rallegra di essere uscito indenne da questa crisi, magari con la lista dei follower epurata dagli immancabili spam-bot che la infestavano, pronto a ricominciare tutto da capo.

Sarà senz’altro così ma c’è anche qualcos’altro da tenere presente.

Too big to fail whale

Certo la vicenda che ha segnato la rete ieri nel tardo pomeriggio, al di là dell’ironia che può suscitare, è assolutamente interessante ed indicativa di quelli che sono i paralleli che si possono tracciare tra il funzionamento dei social network e l’economia finanziaria, protagonista assoluta delle cronache di questi giorni.

Paralleli che di fatto sono da sempre presenti: i meccanismi di ricerca, ricezione e condivisione (in ultima istanza partecipazione) delle attività in rete, si fondano su automatismi e sono resi possibili dall’interiorizzazione di  schemi concettuali riduzionisti e convenzioni. Tali meccanismi sono gli stessi che stanno alla base della pubblicizzazione e della valorizzazione di un titolo di borsa. Nel mercato finanziario come in Internet si punta all’azione o all’informazione che gli “altri” considerano “buona” (un titolo in rialzo o un video più cliccato). Il problema è che di tali meccanismi poggiano su basi fragili e sembrano nutrirsi di un valore costruito artificialmente – e che artificialmente può essere ingrossato e
sgonfiato – che da un momento all’altro può volatilizzarsi.

Ieri è bastato un bug (o una b al posto di una m) nel sistema e le “quotazioni” di tutti sono precipitate scatenando il panico. Mentre voci incontrollate si rincorrevano alimentandosi l’una con l’altra, nel giro di pochi minuti il tag più ricercato sulla piattaforma di microblogging è diventato “Followers”. Anche in questo caso un cortocircuito informativo ha prodotto la creazione di un hype (il primo comandamento dell’imprenditore del “web 2.0”) che è però sfuggito improvvisamente ad ogni logica e ad ogni controllo. La razionalità mimetica come comportamento imitativo si è concretizzata anche in un “assalto ai form di iscrizione” per non essere esclusi dal network e cominciare poco alla volta a recuperare i
propri contatti. Ovviamente l’accesso è stato negato.

A riportare la calma ci hanno pensato i grossi aggregatori (Twitter stesso ed altri social media) che forti del loro peso di intermediari nel gioco dei flussi di comunicazione (come le agenzie di rating nei flussi finanziari) si sono affrettati a mettere in risalto il loro ruolo di catalizzatori di attenzione, delegando agli utenti/operatori il compito di diffondere tramite i “retweet” la notizia secondo cui il problema era solo temporaneo e che presto lo scambio di comunicazione sarebbe potuto riprendere normalmente.
Non stupisce che Twitter abbia deciso di optare per questa scelta piuttosto che bloccare l’intero network per un’ora. Il rischio che si paventava era quello di provocare un allarme simile a quello seguito al crackdown dell’agosto 2009 , quando in pochi minuti diversi tg avevano commentato i lanci di agenzia con toni da 11 settembre.

Certo questo non può cancellare la suggestiva immagine globale di milioni di profili improvvisamente solitari. Una fugace rappresentazione che ricorda come qualsiasi social network sia nient’altro che un guscio vuoto, inutilizzabile senza quei processi di crowdsourcing affidati al lavoro volontario degli utenti che incessantemente spendono il loro tempo per mappare gusti, interessi ed attività conferendovi così valore.

Infine la questione dell’azzeramento temporaneo dei profili per chiudere un bug che permetteva di accumulare capitale reputazionale con un trucco. Afferma Wired Italia che “si è trattato di una sorta di reset , dal quale ripartire in modo più stabile e sicuro”. A voler essere maligni noi ci vediamo l’allegoria del salvataggio europeo messo in atto in questi giorni, in attesa della prossima crisi (o falla nel sistema che sia) sapendo che queste non sono anomalie ma elementi strutturali del sistema.

Per approfondimenti: Socializzazione della finanza e crisi economica globale

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